L’ispettorato del lavoro conferma: essere madri e lavoratrici è difficile
Si parla tanto di crisi demografica e di quanto sia necessario e urgente cominciare a discutere di politiche della famiglia e per la famiglia, intesa come nucleo composto da genitori e figli.
Non solo di transengender, LGBT e unioni civili
La famiglia è l’unione di un uomo e una donna, le altre tipologie di unioni sono altro. Da rispettare, da considerare ai fini civili, ma comunque altro. Non è famiglia.
I figli sono il futuro di una società, piccoli mattoni nel progetto complessivo di una nazione, la continuazione della storia e della civiltà.
Ma quanto sia difficile conciliare le legittime aspirazioni lavorative di ogni donna con il lavoro, con la cura dei figli, solo una che ci è passata veramente lo sa. Solo chi ha avuto figli ed è madre/lavoratrice – come lo sono io – sa quanti sacrifici e lacrime un figlio offre, assieme comunque ad una miriade di gioie e pura felicità.
Non tutte le donne però ci riescono, non tutte hanno nonni disponibili per i nipoti, non tutte hanno stipendi che consentano di pagare baby-sitter e asili nido
E di avere tempo da dedicare ai piccoli di casa, per portarli al campo sportivo piuttosto che a scuola di danza, consegnarli all’ora di catechismo e di pianoforte, accompagnarli alle feste con gli amichetti o ai centri estivi, prendersene cura qundo si ammalano.
Esauste, le madri rinunciano al lavoro. Nel 2022 oltre 44 mila. Da una indagine presentata lo scorso 5 dicembre dall’Ispettorato del lavoro, 61.391 neo-genitori da tre anni hanno abbandonato il posto di lavoro. Dimissioni di padri (pochi) e madri (molte) che non riescono a conciliare lavoro e figli. Rispetto all’anno precedente il 17% In più.
Tante, troppe le donne che rinunciano alla vita lavorativa. Ben il 63% riguarda infatti le neo-mamme, contro il 7% dei neo-papà.
I motivi della scarsa conciliazione fanno riferimeno all’assenza di una comunità familiare di supporto ai neo-genitori nella cura dei bimbi e all’elevata incidenza dei costi di baby-sitter e asili nido.
Ma nell’analisi dell’Ispettorato del lavoro si evidenzia anche che non vi sono sufficienti supporti legislativi quali ad esempio part time, smart working e altre facilitazioni. E l’incapacità dei datori di lavoro, soprattutto aziende private e piccole-medie imprese, di venire incontro ad esigenze dalla lavoratrice.
Pesano la distanza dal luogo di lavoro, i cambiamenti di sede, orari di lavoro inconciliabili con la cura della prole. –
Nell’indagine dell’Ispettorato del lavoro, si tratta di donne tra i 29 e i 44 anni che provano a resistere con il motto “il periodo passerà e i figli cresceranno”, ma che devono fare i conti con una realtà complessa e pesante. Il 58% delle donne lascia il lavoro subito la nascita del primo figlio, il 32,5% al secondo, solo il 7,5% dopo il terzo figlio.
Per quanto concerne le categorie di lavoratrici, non ce n’è una più capace di resistere di altre
Ci si aspetterebbe un gap fra le dirigenti e le altre categorie come impiegate e operaie. E invece no. Pure chi ha ruoli dirigenziali si trova molto spesso obbligata a licenziarsi, a conferma che essere madri è difficile anche per tali ruoli.
Non c’è inoltre una diversità di abbandono lavorativo dal punto di vista geografico. Essere madre e lavoratrice è difficile a sud come a nord. In questo vi è purtroppo una triste equità.
Anche se ne avevamo la percezione già in precedenza, i dati dell’Ispettorato del lavoro evidenziano il disagio profondo del diventare genitori oggi. Un disagio a cui però si deve cercare di dare risposte e sostegno.
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