L’Italia è una nazione letteraria e Dante è il suo fondatore

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L’Italia e Dante – Emanuele Roncalli intervista Marcello Veneziani per L’Eco di Bergamo (30 gennaio 2021).

Dante Alighieri? Padre nobile, fondato re d’Italia, poeta e profeta, pensatore e visionario. Nel 700° anniversario della morte del Sommo Poeta, Marcello Veneziani, giornalista, scrittore e filosofo, ha da poco dato alle stampe il suo Dante nostro padre, una sorta di profilo controcorrente, con una originale selezione antologica di testi danteschi.

Veneziani, in che cosa si distingue il suo libro Dante nostro padre, appena uscito da Vallecchi (pp.224, 18 euro) dalle molte opere su Dante che ci sono attualmente in giro?

Il “mio” Dante non è una biografia, un’opera storica su Dante e non è dedicato alla Divina Commedia, come quasi tutte le opere in circolazione; ma è un’antologia del pensiero di Dante e delle sue opere in prosa, con un mio ampio saggio introduttivo che affronta il suo spirito profetico e la sua visione del mondo. Mi soffermo sulle altre opere dantesche, da Vita Nova al Convivio, dal De vulgari eloquentia al Monarchia, fino alle sue Epistole. Ho selezionato le pagine in prosa più significative di Dante, che conoscono in pochi, divise in Amore, Lingua, Sapienza, Politica e Madrepatria. È una ricerca delle radici di Dante nella filosofia e nella visione politica, nella sapienza esoterica e nella religione.

Lei definisce Dante il fondatore d’Italia. In che senso?

A mio parere non è Garibaldi, Cavour e i Savoia ad aver fondato l’Italia ma Dante. Perché la nostra è nazione culturale, letteraria, prima che politica; l’Italia nasce dall’arte, dalla lingua, dalla letteratura prima che da guerre, dinastie, costituzioni. Perciò ho parlato di “identità italiana”. Dante ha concepito l’Italia come unità culturale e linguistica, civiltà prima che nazione, e nazione prima che stato, figlia della cristianità e della romanità. Ma Dante non fu solo il Padre d’Italia, fu anche il padre degli antitaliani, ovvero di coloro che si sentirono innamorati traditi dall’Italia, italiani in esilio, e descrissero le viltà, i tradimenti e le contraddizioni del loro odiosamato Paese.

Però parla della “inattualità di Dante”: che cosa significa?

Dante amò e cantò il passato, il futuro, l’eterno e fu in conflitto permanente col suo presente e forse con ogni presente. Ho sottolineato l’inattualità di Dante, sia perché Dante è profondamente immerso nel Medioevo, sia perché è inattuale come sono i classici, perennemente inattuali, mai legati solo a un tempo, ma situati ben oltre. Lo dico anche in polemica col tentativo dal ’68 a oggi di attualizzare a tutti i costi i grandi del passato e censurarli o cancellarli alla luce del presente e del politicamente corretto che è il canone vigente, il catechismo ideologico di oggi. Dante non ebbe eredi e restò nella maestosa solitudine della sua “poesia pensante”, rara figura di poeta intellettuale.

Se dovesse indicare i principi guida che ispirarono Dante, cosa indicherebbe?

Li riassumerei in un trittico: Fede, Giustizia e Bellezza. Fede, perché la cristianità resta per Dante il faro universale, il cattolicesimo romano, nonostante il suo rapporto conflittuale con Papi e cardinali; Giustizia, perché da Roma deriva la più alta espressione giuridica, il Diritto romano, benché calpestato al suo tempo come mostra l’infamia del suo esilio. Bellezza, perché non c’è poesia, non c’è filosofia, non c’è teologia che non si esprima in Dante con la bellezza. L’invisibile in Dante assume la grazia del visibile. Ma della sua eredità non è sopravvissuto niente: Dante fu dimenticato nei secoli, risorse col romanticismo, col risorgimento e con l’Italia unita. Ma fu collocato in una teca inarrivabile, fuori dal mondo e dalla possibilità di calarlo nella storia. Restò inimitabile, non fece scuola.

A parte Benigni e le letture dantesche, Dante è stato poco rappresentato in tv, al cinema, a teatro…

Sì, siamo fermi all’unico sceneggiato in bianco e nero con Albertazzi di oltre mezzo secolo fa, o a film esoterici come Il segreto di Dante. Da vent’anni Pupi Avati propone vanamente di realizzare un film sulla vita di Dante. Ci sono fiction su sarti, sportivi, industriali, manca un racconto popolare sul nostro massimo poeta, l’italiano più illustre, profeta e fondatore d’Italia. Ciò conferma il paradosso di Dante, la sua solitudine e la sua inattualità. Ossia la sua classicità irriducibile al moderno. Un Padre senza eredi. A volte ho il sospetto che abbia nuociuto il Dante scolastico: quel Dante “coatto” ha allontanato anziché avvicinare i lettori, imprigionandolo in cliché e imparaticci, banalizzazioni e forzate attualizzazioni. Come quelle che si vedono in giro, pure in libreria…

 

 

 

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