L’Italia nella miseria.C’è poco da dire l’Italia sta attraversando una fase difficile. Prima la pandemia, ora la guerra. La nazione è spossata. I borghesi di ieri, sono i proletari di oggi, con la differenza che non c’è più neanche la prole. Già perché non si fanno figli.
Tempi moderni
Suonano di grottesco ed anacronistico nell’epoca dei social, le parole borghese e proletario. Probabilmente siamo convinti che non esista più né il proletariato ne la borghesia. Ed in un certo senso ci intendiamo tutti almeno borghesi; forse nella mentalità lo siamo.
Ma nel nostro pensiero, esserci immersi in una società fluida, ci porta ad ignorare il reale . Ad ignorare che esiste ancora una divisione del mondo in classi sociali. Divisione che noi non vogliamo vedere, o non sappiamo riconoscere.
Non è che oggi i proletari non esistano più, è che è improprio chiamarli in questo modo. Non si fanno più figli, non c’è più la prole. Quelli di ieri non avevano altra ricchezza se non i figli. E quindi avevano la grande ricchezza di sperare nel futuro. I proletari oggi non esistono, perché non hanno figli e non credono nel domani.
L’Italia di oggi
Oggi la miseria prospera nel paese. Ne abbiamo in sovrabbondanza, ridonda ovunque. È una miseria che ormai, non si riesce più a celare. Sì perché vi è un forte orgoglio, un’ipocrisia puritana sulla povertà che viene vista come indecorosa.
Oggi i nuovi poveri, sono coloro i quali trent’anni fa, avrebbero vissuto, in condizioni di agio borghese. Sono laureati, svolgono funzioni di responsabilità, ma percepiscono stipendi magri, con scarsissimo potere d’acquisto. O sono strangolati da un mutuo, o non possono permettersi il mutuo e si svenano per l’affitto. In questa condizione il posto statale, è un posto di privilegio.
Non perché nel comparto statale gli stipendi siano particolarmente alti. Anzi spesso sono anche più miseri. E se non sono da fame, sono da appetito. Però almeno c’è la certezza di avere una rendita sicura, che di questi tempi non è poco.
Il problema è che, nella mentalità borghese acquisita negli anni di benessere in Italia, per molti l’indigenza è una vergogna.
La visione di Longanesi
Appaiono profetiche le parole che ebbe a pronunciare Leo Longanesi oltre settant’anni fa: “La miseria è ancora l’unica forza vitale del Paese. E quel poco molto che ancora regge è soltanto il frutto della povertà: bellezza dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria dove essa è sopraffatta dal sopraggiungere del capitale. Ecco che si assiste alla rovina del patrimonio culturale, artistico e morale perché il povero di antica tradizione vive in una miseria che ha antiche radici, in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato, nemico di tutto ciò che lo ha preceduto e che lo umilia. La sua ricchezza è stata facile, di solito nata nell’imbroglio, nei traffici, sempre o quasi imitando qualcosa. Perciò quando l’Italia sarà sopraffatta dalla nuova ricchezza, noi non riconosceremo più il volto né l’anima”.
Nella miseria ci si eleva
Probabilmente, l’Italia potrà recuperare una dignità. Un sistema valoriale perduto, proprio in questi momenti difficili.
Purtroppo la sofferenza è atroce, ma un popolo che mantiene la dignità, l’attaccamento alla tradizione ed il sentimento di mutuo soccorso, può rilanciarsi e risalire la china proprio nei momenti di maggiore difficoltà.
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