Non vuole lo spezzatino. Proprio non gli va.
Ci hanno provato a proporglielo in tutte le salse: in umido, con le carote che gli danno un tocco di arancione. Giallo con le patate. O addirittura in bianco.
Niente.
Non gliene parlate di spezzatino, per carità.
Punta i piedi, si dispera, si è persino alzato da tavola stizzito. Non lo vuole, vede solo rosso. Rosso come il PD, come la zona rossa di Firenze.
Di spezzatino, però, stavolta ci sono anche le interiora ed appendici pregiate dei Fiorentini, quelli che per i numeri dei contagi avrebbero diritto a riaprire.
Ma niente, tra loro e la libertà c’è un ostacolo.
Lo spezzatino. Quello a Nardella proprio non va giù. Sarà meglio il peposo? Chi può dirlo.
Si è sentito persino con Giani
Anche Eugenio, pur intendendosi solo di cene in piedi, gli ha consigliato di chiudere con lo spezzatino, troppo pesante.
Meglio “andare in modo omogeneo. È vero che alcuni Comuni dell’area fiorentina, e anche il mio comune di Firenze, sono sotto i 250 casi, ma sarebbe una situazione ‘spezzatino’, con Comuni arancioni nel mezzo a Comuni rossi”.
Andiamo ad omogeneizzare, allora, amalgamiamo e mescoliamo bene nel ramaiolo con il mestolo, attenti che non si attacchi, sia mai che poi si alzi dalla conferenza stampa e se ne vada. Come Eugenio.
Lo spezzatino assurge, allora, ad emblema della situazione da lockdown. Una cottura lenta, eterna, a fuoco lentissimo, per ammorbidire ogni fibra che resiste tenace.
Una ricetta che richiede la giusta lentezza che le compete, una ricetta che non delude. Ogni regime ben sa che a lungo andare anche le fibre più dure cedono. Basta aspettare davanti al fornello. Il risultato è garantito.
Da gustare poi con calma davanti ad un buon vino.
Rosso ovviamente.
Morbidissima la carne ma da fare una volta all’anno e nelle fredde giornate invernali.
Ora che arriva la primavera, pare troppo indigesto.
E quindi niente spezzatino: chiudiamo tutto, piuttosto. Offrendo il fianco anche a ricorsi, perché nel Comune di Firenze i numeri sarebbero da arancione. Chi risponderà dell’arbitraria chiusura, non imposta dalle norme generali? Ma solo dettata dai gusti discutibili di Eugenio e Dario: Giani e Pinotto dei nuovi anni ’20.
Il rosso nella provincia di Firenze, ma anche di Prato, rimane sino alle 14 di sabato 17 aprile.
Si dirà che sono solo cinque giorni in più rispetto alla scadenza naturale del 12 per gli altri Toscani.
Ma sono cinque giorni dopo un anno: un costo marginale insopportabile dopo troppi sacrifici.
La proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.
Perché i Fiorentini, come tutti gli Italiani, di essere sobbolliti a fuoco lento ne hanno le scatole piene.
A spezzatino, potremmo dire.
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