L’Occidente, il Medio Oriente e l’Iran

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L’Occidente, il Medio Oriente e l’Iran

Nello scacchiere del Medio Oriente lo scopo principale della strategia occidentale è quello di minare la linea del governo iraniano, distruggendo, ostacolando, combattendo tutte le pedine strategiche iraniane come gli Houthi nello Yemen, le milizie Hezbollah in Libano, gli Sciiti iracheni, gli Alawiti siriani che supportavano il partito Baath sul quale si reggeva il potere di Assad.

La strategia delle potenze occidentali, sperano non tanto in una completa distruzione dell’Iran, cosa impossibile fattivamente per più di una ragione, ma mirerebbe a esercitare pressioni esterne e creare tensioni interne, per alimentare la dissidenza, magari fomentando una ennesima rivoluzione colorata

La speranza era quella di sperare in una più realistica possibilità di una svolta all’interno del regime, come in altra epoca avvenne con l’Arabia Saudita dopo l’assassinio di re Feisal nel 1975, il monarca che aveva giurato di liberare Gerusalemme, città che accoglie sulla spianata delle moschee, il Monte del Tempio, luogo da dove il profeta Maometto fu assunto in cielo.

È uno dei tre luoghi santi per l’Islam ed essendo il monarca Saudita, il custode dei luoghi santi di sentiva moralmente impegnati a liberare Gerusalemme.

Alla svolta in senso più moderato, sembrano concorrano le spinte del potente bazar che a suo tempo fu determinante per fare cadere lo Scià

Oggi i servizi  occidentali ed anche il Mossad, mirano ad un analogo mutamento che a suo tempo avvenne a Riad, anche in Iran. Questo ci fa comprendere la strumentale e tattica alleanza con gli ambienti del terrorismo sunnita, spesso alimentato anche dal Qatar. Sono stati utilizzati i reduci di Al Qaeda-Al Nusra e dell’ISIS i quali odiano da sempre tutto ciò che è sciita e che inoltre hanno il dente avvelenato con la Russia in seguito all’ umiliazione che subì il Califfato ad opera anche dell’armata russa.

Ora, arrivati a Damasco senza sparare un colpo ma con accordi con gli stati maggiori dell’esercito arabo siriano e vari servizi segreti, possiamo osservare che si sono ripuliti la barba arruffata e il loro leader al-Jolani appare addirittura col nodo impeccabile alla cravatta

Chi non conosce l’Islam non comprende quanto questa sia una chiara aperta sceneggiata. Infatti per un musulmano, come per un induista, la cravatta non è un semplice capo di abbigliamento ma è un simbolo della piena adesione al modello occidentale. Mentre per giapponesi e cinesi non esistono problemi nell’adesione a questo modello, così come nell’adozione dell’abbigliamento, per induisti e musulmani, l’identità ha anche una grossa valenza religiosa e culturale.

Gandhi ad un momento della sua vita cessò di vestirsi come un avvocato inglese e si tolse la cravatta adottando il dhoti caratteristico abito del contadino indiano

Al contrario, tutti i musulmani arabi e turchi di cultura laicista, per ostentare la loro cultura occidentalista, hanno utilizzato la cravatta come un segno distintivo in contrapposizione ai cosiddetti religiosi che da sempre la rifiutano sdegnosamente. L’hanno utilizzata Assad, Ataturk, Nasser, Boumédiène, Ben Bella, Saddam Hussein, avevano scelto di non portarla Gheddafi e Arafat pur essendo laici .

Vedere però, come vediamo oggi, addirittura un leader integralista aderente di Al Qaeda e per un periodo anche dell’ISIS, che ha partecipato al Califfato, indossare la giacca di buon taglio con la camicia immacolata su cui spicca la famosa cravatta, dimostra che stiamo assistendo ad una grottesca sceneggiata, una mascherata suggerita dai servizi occidentali e dalle agenzie di comunicazione di massa per confezionare meglio il prodotto ad uso dei media e dell’opinione pubblica occidentale, una vera promozione pubblicitaria come si usa fare con un prodotto di consumo ben confezionato e che deve avere un aspetto gradevole per essere accettato

Si vogliono lanciare messaggi subliminali come è stato con la felpa verde oliva di Zelenski. Anche le cravatte indossate dai leader arabi laici erano messaggi lanciati nei confronti dell’Europa che l’Occidente ha finto di non percepire. Lo aveva capito Gheddafi che all’inizio la ostentava e che in seguito, vista l’ostilità, come fece Gandhi, adottò l’abito tradizionale della sua gente.

Non si limitò a fare questo ma nel cortile del proprio palazzo montò una grande tenda dove usava ricevere gli ospiti di riguardo e questo per non fare dimenticare al suo popolo la memoria di antiche millenarie tradizioni.

Arafat, invece rilanciò l’uso della Kefiah il caratteristico copricapo beduino che precedentemente in Palestra in pochi usavano portare

Fu utilizzato come una bandiera e come simbolo identitario di lotta. In questi anni, dopo aver fatto un disastro in Libia, ho sentito che tutti erano concordi nel dire che avevano commesso un terribile errore. Non vorrei che domani si parlasse di errore anche per ciò che abbiamo combinato in Siria, come non vorrei che dopodomani si parlasse di terribile errore compiuto in Ucraina.

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