Lollobrigida ha detto una grande verità. I poveri, se diamo un valore alla semantica, nella storia d’Italia sanno mangiare molto meglio dei ricchi.
Le parole del ministro
“In Italia abbiamo un’educazione alimentare interclassista: spesso i poveri mangiano meglio, perché comprano dal produttore e a basso costo prodotti di qualità”. Ha detto il ministro Francesco Lollobrigida al meeting di Rimini.Scatenando le opposizioni. Il problema di fondo è che ha ragione.
Il supporto di La Russa
Il presidente del senato Ignazio La Russa ha ribattuto, sulla sua pagina facebook:”Anche stavolta, pure sul ministro Lollobrigida, molti capiscono Toma per Roma. Lui confronta le diverse abitudini alimentari degli americani rispetto alle nostre e loro “capiscono” invece che stia parlando di reddito di cittadinanza. Lollobrigida censura i Paesi dove “la scelta alimentare è legata al censo” e loro “capiscono” il contrario.
Senza contare che anche a seguire i loro errati contorcimenti è comunque vero che un piatto povero come la pasta alla norma (pomodoro, melanzane e ricotta salata) è per me più buono e salutare di qualsiasi pietanza costosa. Se vogliono potrei invitare a pranzo Schlein e compagni per fare verificare di persona”.
Cogliendo, il senso del messaggio, il significato delle parole. Che attingono nella grande tradizione della cucina nazionale. La tradizione contadina.
Il punto di vista sbagliato del PD
La strumentalizzazione di quelle parole porta a interpretarle come: il povero è in realtà più ricco del ricco. Sarebbe un asserzione assurda di un governo classista e fuori dal mondo. Tanto è vero che si è tirato in ballo il reddito di cittadinanza .
Praticamente secondo il PD il povero che non riesce a mangiare, viene visto come un privilegiato da un governo di privilegiati.
Innanzitutto partiamo da un dato oggettivo. Quelli dei salotti, i nati privilegiati, i nati i ricchi, sono a sinistra in questo dibattito. Elly Schlein è una radical chic, figlia di un ricco docente universitario con tre cittadinanze in tasca, che vanta illustri natali.
Elly non sa neanche cosa significhi avere un bancomat privo di disponibilità, per comprare il generi alimentari. Non è la disperata Paola Cortellesi in Gli ultimi saranno ultimi, precaria licenziata perché aspetta un bambino.
Dunque la percezione del reale, è condizionata dalla sua nascita privilegiata.
Un paese povero e un paese miserabile
E qui troviamo un importante differenza sottolineata qualche anno fa da Massimo Fini. Tra chi si intende tradizionalmente per povero nella società italiana che attingeva e la forza del cattolicesimo e della tradizione contadina una grande dignità. In quella tradizione che ha creato piatti unici della grande cucina nazionale.
La pasta alla norma, ricordata dal Presidente del senato, ma anche gli spaghetti con basilico e pomodoro , la ribollita toscana la coda alla vaccinara romana, l’utilizzo del guanciale, lo zampone. La capacità del contadino di adattarsi e trovare risorse in quello che gli offriva la sua terra. Nell’eccellenza della produzione alimentare nazionale, valorizzando quello che i nobili scartavano.
Le parole di Massimo Fini
Nell’Italia degli anni ’50 esisteva ancora l’etica, di derivazione cattolica, della “povertà dignitosa”. Non si dubitava che si potesse essere “poveri e felici”. Poi il concetto divenne “poveri ma felici” (qualcuno ricorderà il film “Poveri ma belli”) con quel “ma”, congiunzione avversativa, che la diceva lunga su tutta una mentalità. Oggi chi è povero non può essere felice, senza se e senza ma. È una parte della società. Questa trasformazione è legata a una molteplicità di fattori complessi tutti legati fra di loro. Lo spirito del cattolicesimo, che nel Medioevo aveva condotto una lunga, e per molti secoli vittoriosa, battaglia contro profitto interesse e usura ha ceduto il passo all’etica protestante del capitalismo; per la quale il ricco è “un eletto da Dio” e il povero un dannato, qui e nell’al di là. Una cosa è essere poveri dove tutti, più o meno lo sono, com’era l’Italia dei ’50, altra è esserlo in una società, come sono tutte quelle industriali, dove brilla un’opulenza vistosa. Da poveri si retrocede a miserabili e scattano i meccanismi psicologici dell’invidia, della frustrazione, dell’emulazione.
Un qualcosa che capirà anche Pasolini. Quella crisi che il Partito Democratico di oggi non capisce. Perché non ha il senso della nostra grande tradizione nazionale, insegna solo al povero un complesso di inferiorità . Per il quale deve essere dipendente da un misero reddito di cittadinanza oppure cercare di lanciarsi nel mondo dei consumi.
Non semplicemente ignorare la sua posizione, ma cancellare tutto il complesso dei valori che rendeva dignitosa e sopportabile in Italia la povertà. I valori dell’identità nazionale, del cattolicesimo,i valori della tradizione contadina, della cultura locale e comunitaria.
Fonte: Lorenzo Gioli nicolaporro.it
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