Lombardia – Un mese prima di Codogno. Per capire davvero quello che è successo in Lombardia in questi quasi sessanta giorni di emergenza bisogna partire da una data: giovedì 23 gennaio. È il giorno in cui l’assessore Giulio Gallera, dopo aver ricevuto una circolare del ministero che informa del rischio di un’emergenza per epidemia, convoca la prima riunione della task force della Sanità lombarda per elaborare il piano preventivo contro il coronavirus.
È anche su questo incontro, 28 giorni prima del primo caso nel Lodigiano, che si sta concentrando di chi indaga sulla gestione lombarda dell’emergenza. La documentazione relativa a quella riunione potrebbe essere decisiva infatti nelle inchieste aperte dalla procura di Milano sul caso delle morti sospette nelle residenze per anziani.
La task force
Durante i lavori della task force, come comunicato dalla stessa Regione, insieme ai responsabili dell’Ats, e di Malattie infettive degli ospedali, avrebbero attivato tutte o quasi le realtà del territorio. «I medici di Asst, Irccs, case di cura accreditate, ospedali classificati, medici di famiglia, etc – dichiarò all’epoca l’assessore Gallera – devono segnalare i casi sospetti all’ Ats di competenza, attraverso procedure informatiche specifiche, gestendo il paziente in stretto raccordo con i referenti delle malattie infettive». Dunque, la Regione, un mese prima dell’esplosione della pandemia sa che esiste un rischio concreto per il coronavirus. Ma che cosa fa?
Annuncia l’elaborazione di un «raccordo operativo» con medici di base e pediatri del territorio. «Abbiamo nelle scorse ore – dice sempre Gallera – emanato alcune indicazioni procedurali importanti. Per i medici di base e per gli specialisti ospedalieri, in costante raccordo con il Ministero della Salute». Quelle “linee guida” però, come dichiara il presidente dell’Ordine di Milano, Roberto Carlo Rossi, «ai medici di base non sono mai arrivate. E non abbiamo mai avuto notizia dei lavori della task force. Peccato, abbiamo perso un mese per prepararci all’ emergenza».
Panico Lombardia
Quindi, l’assessore Gallera sostiene in gennaio di aver lavorato «in raccordo» con i medici di base che però dicono di non saperne nulla. Acquistano mascherine? Gel sanificatori? Altri dispositivi di protezione sanitaria? Non se ne ha notizia e comunque quando il primo caso di coronavirus si manifesta a Codogno, si scopre che la Lombardia non è pronta e va nel panico. Ci vogliono giorni prima che vengano attrezzati i reparti negli ospedali, i corridoi di ricevimento e, soprattutto, venga distribuito al personale sanitario, medici di base compresi, l’attrezzatura idonea per mettersi al riparo dal virus.
Perché se quindi c’era stata una riunione che aveva stabilito delle «linee guida» queste non vengono applicate? Oppure: che linee guida erano? Mistero. Ieri la Regione, pur interpellata, non ha dato risposte.
Certo è che se gli interventi fossero stati pianificati il giorno in cui venne fatta la riunione, ovvero il mese prima che la Lombardia venisse travolta, forse si sarebbero potuti evitare i provvedimenti urgenti nel pieno della crisi sanitaria. Come, ad esempio, l’ormai famosa delibera dell’8 marzo che chiedeva alle rsa di accogliere pazienti Covid «a bassa intensità» per liberare posti letto negli ospedali ormai allo stremo.
Morti nelle rsa
Decisione ora sotto la lente d’ingrandimento dell’inchiesta della Procura sui morti nei centri per anziani. Anche il governo per altro era ben consapevole dei rischi che poteva correre il Paese. Visto che Il 22 gennaio, mentre da Wuhan rimbalzavano le immagini del lockdown, il ministero della Salute convocava il primo vertice. Presenti direzione generale per la prevenzione, dalle altre direzioni competenti, Istituto superiore di Sanità, Nas dei carabinieri.
Da quel tavolo era partita una circolare a tutte le regioni italiane per predisporre piani sul territorio contro il Covid19. Il 31 gennaio Gallera annuncia che «i lavori della task force sono al completo e la macchina è pronta. Attende indicazione dal Ministero». Ma la prima circolare ai medici di base è solo del 23 febbraio, due giorni dopo Codogno, e non contiene indicazione suoi sintomi della malattia.
Monica Serra per “la Stampa”
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