L’opzione del cambiamento

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L’opzione del cambiamento

Ogni candidato a Firenze o in Toscana che si presenta coraggiosamente per la compagine di centrodestra anziché di centrosinistra si chiede perché è così difficile trovare consensi e perché le persone sono così particolarmente restie al cambiamento.

Insomma, a chi piace vincere facile sicuramente non si candida nel centrodestra in Toscana e, in particolare, a Firenze o Scandicci, da sempre considerate roccaforti di sinistra

Allora, come candidato, ti chiedi il perché e cosa si può fare per far capire che la politica non è una fede né religiosa né sportiva. Chiedendosi quali sono le motivazioni per cui in alcune zone d’Italia si vota costantemente per la stessa fazione politica da decenni, senza acrimonia o faziosità, dobbiamo tenere presente fattori storici, culturali, economici e sociali.

Per me le motivazioni sono essenzialmente queste:

Purtroppo, regioni come l’Emilia-Romagna e la Toscana, da sempre roccaforti di una sinistra radicale, coincidono non a caso con quella che fu la linea gotica nell’ultimo conflitto mondiale. La resistenza e la conseguente sostituzione del potere crearono le condizioni ideali per il radicamento di movimenti socialisti e comunisti che risale appunto alla Resistenza e alla lotta contro il fascismo.

Ma questo non è sufficiente a spiegare il fenomeno di immobilità politica. Infatti, anche a Prato, Pisa, Pistoia o Lucca e, nell’altro versante, Bologna, il cambiamento è stato possibile ed è avvenuto in tempi relativamente recenti.

Quindi, la particolare resilienza in zone specifiche come Firenze e dintorni si può spiegare anche con il fatto che la politica spesso si intreccia con l’identità culturale locale. In queste aree, votare per una certa fazione politica può essere visto come parte integrante dell’identità comunitaria: in pratica lo si fa per abitudine e campanilismo. Decidere di cambiare idea è ancora più difficile, dal momento che questo cambiamento è vissuto in prima persona come il tradimento di un’identità. Ognuno di noi tragga le proprie conclusioni se questo possa essere un valido motivo per limitare di fatto l’alternanza che è alla base della democrazia.

Altro motivo che, per diplomazia, descriverò come un fattore riconducibile alla “Struttura economica e sociale”

Diciamo che le politiche economiche promosse dalle amministrazioni di centrosinistra dal dopoguerra in poi hanno fortemente condizionato la politica, portando spesso in modo diretto, con veri e propri sussidi, o indirettamente, con benefici tangibili, a una parte della popolazione che di fatto si sente in debito di riconoscenza o, banalmente, ha paura di poter perdere benefici e posizioni acquisite e spesso consolidate con il cambio di amministrazione.

Ad esempio, politiche agricole favorevoli o sostegno alle cooperative possono consolidare il sostegno a lungo termine

Anche il senso di identità che alcune reti di solidarietà e il supporto reciproco all’interno delle comunità, spesso promossi dai partiti di sinistra, creano un senso di appartenenza difficilmente modificabile anche quando queste politiche, dopo anni, vengono meno o entrano addirittura in conflitto con questi. Un esempio è il malumore tra i cacciatori.

Sicuramente il radicamento dei partiti di sinistra, molto capillare, avendo una forte presenza locale e un’organizzazione capillare, appunto come le sezioni di partito e i circoli culturali, le case del popolo, riescono a mantenere un contatto costante con la popolazione e a dare un supporto insostenibile e un vantaggio strategico nelle campagne elettorali.

La trasmissione generazionale, o educazione politica come si voglia descrivere, fa sì che in molte famiglie certe idee vengano spesso trasmesse ai figli, creando un sistema di ingessamento generazionale nel voto

Questo può essere rafforzato dall’educazione ricevuta, sia in ambito scolastico che in contesti sociali e familiari. Questo limita l’apertura mentale e l’utilizzo di una forma critica che tende a giustificare sempre e comunque l’operato di quella parte politica, sentita come di famiglia, e ad essere estremamente critici e scarsamente obiettivi nei confronti di chi non è di quella fazione, senza motivare le critiche alle nuove soluzioni o idee proposte da altri e limitando così di fatto il proprio modo di pensare liberamente e acriticamente.

Poi ci sono i fattori psicologici e di conformità sociale. Infatti, in una comunità omogenea, il desiderio di conformarsi alle aspettative sociali può giocare un ruolo significativo. Andare contro la maggioranza politica locale può essere visto come una rottura delle norme sociali e, spesso, il legame emotivo o la fedeltà a un partito può essere legata a fattori come il senso di appartenenza e le esperienze personali legate alla storia politica della propria famiglia e comunità.

Quindi, concludendo, la persistenza del voto per la stessa fazione politica in certe aree d’Italia è il risultato di un complesso intreccio di fattori storici, culturali, sociali ed economici

La combinazione di una forte identità culturale, l’efficacia delle reti sociali e politiche locali, e il trasferimento generazionale delle convinzioni politiche.

Ecco perché, da candidato del Partito Liberale, che è il vero centro, devo dire a chi mi chiede “ma chi te lo fa fare” che sono consapevole che è difficile, ma in democrazia l’alternanza non è opzionale. Nessuno ha ragione per diritto ereditario e le idee si confrontano e contestualizzano nel presente, non nel passato.

Ma la speranza è sempre l’ultima a morire e, forse, parlando con la gente, qualcosa sta cambiando e questa volta le idee nuove e le persone potranno superare questi ostacoli.

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