Piero Pisenti, Ministro della Giustizia subentrato ad Antonio Tringali Casanova morto di angina pectoris improvvisamente, era un rispettabile giurista. Voleva in tutti i modi di agire nel rispetto dei codici, delle procedure e di un alto concetto di diritto che portava sempre dentro di sé.
La sua figura è stata spesso storicamente messa in secondo piano. Invece fu capace di portare avanti una continuazione dello stato per la sua parte di competenza, che molti altri ministri non furono capaci di mettere in piedi.
Esaminò le carte del processo che doveva essere istruito contro gerarchi che avevano votato favorevolmente all’ordine del giorno Grandi nell’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo. Il suo giudizio fu netto: non c’erano prove sufficienti per dimostrare che vi fossero accordi preventivi tra coloro i quali avevano votato l’ordine del giorno Grandi, Badoglio ed il Re.
In realtà si sarebbero trovate molte prove successivamente del coinvolgimento di Ciano, mentre gli altri cinque imputati erano del tutto estranei a manovre politiche precedenti la seduta. Nonostante De Bono non avesse un giudizio positivo dell’operato di Mussolini.
Mussolini stesso però ammise a Pisenti che le ragioni di stato imponevano anche considerazioni di tipo politico e non solo giuridico.
Infatti il tribunale di Verona era un cellulare del tutto straordinario, stabilito dalla Costituente del partito e teneva in considerazione soprattutto ragioni politiche. Il diritto era un elemento in secondo piano per non dire marginale. Anche se in un certo senso si cercava di inserire in una cornice di diritto quella che purtroppo era una premeditata esecuzione di regime.
Tuttavia Pisenti non fu del tutto inascoltato
Il decreto che istituiva il tribunale speciale prevedeva come pena soltanto la morte, ma Pisenti suggerì la possibilità laddove contenesse delle lacune di rifarsi al richiamo che il decreto stesso faceva dei codici penali civile e militare. Tali codici prevedevano pene alternative in presenza di attenuanti.
Con un elegante ragionamento la giurista aveva trovato la formula per consentire ai giudici di utilizzare pene alternative alla morte.
Ovviamente non poteva fare molto per quanto riguardava l’atteggiamento pregiudiziale del tribunale nei riguardi degli imputati, però poteva insinuare elementi di diritto al fine di arginare l’arbitro.
La forza della ragione può pesare sull’ animosità ed il fanatismo più cieco, s’è portata all’attenzione con autorevolezza, dignitosa superiorità morale e soprattutto fermezza. E Pisenti cercava proprio questo: imporre in principio di legalità che ristabilisse il diritto sulla forza.
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