Madonna: “come voglio essere ricordata? Come una puttana”

MADONNA

Mi preparo al ritardo, anche se il discografico americano mi dice che sbaglio. Madonna è sempre puntualissima, quando si tratta di lavoro. Siamo a Los Angeles, è il 1996, l’anno di Evita, il film su Evita Perón che Madonna ha voluto disperatamente al punto di scrivere al regista Alan Parker una lettera di otto pagine per ottenere la parte. Madonna arriva all’ora stabilita. L’intervista si allargherà al privato, ma parte dal fascino che esercita su di lei Eva Duarte de Perón.

LO SCETTICISMO

«Mi riconosco nel suo percorso, anche se sono diventata solo Madonna e non una santa come lei. Era una ragazza di provincia che in pochi anni riuscì a diventare l’eroina dei descamisados, come lei stessa chiamava i diseredati argentini, e che morì all’età di Gesù Cristo, a 33 anni, distrutta da un cancro. All’inizio, il suo Paese era scettico, proprio come il mio quando mi affacciai alla musica.

Poi ha creato una leggenda che è durata anche oltre la morte. Si dice che gli ufficiali dei servizi segreti trascinino la sua bara in giro per il mondo per relegarla nell’oblio e impedire che diventi oggetto di culto e meta di pellegrinaggi. Si dice anche che tutti loro, prima o poi impazziscano, rimangano sfigurati in misteriosi incidenti, muoiano in circostanze atroci. Come una punizione divina».

LA FIGLIA

Negli ultimi mesi di lavorazione del film, la piccola Lourdes scalciava nella pancia come una rockstar. E Madonna mi confessa di aver avuto paura. «Non era la prima volta, ma mai l’aveva provata in modo così forte e terribile. Di notte avevo incubi continui, due ricorrenti. Il primo credo sia comune a molte donne incinte: andavo a farmi visitare e la dottoressa mi diceva che la bambina era morta perché mi ero spinta troppo in là, avevo esagerato. Nel secondo, io ero al capezzale di mia madre e le chiedevo: Mamma, dimmi se questo sarà anche il mio destino: avere bambini e poi morire di tumore al seno. Ma lei moriva prima di rispondermi».

Le propongo di abbozzare un autoritratto. Riflette, prima di rispondere. «Sono una donna coraggiosa e forte, ma estremamente vulnerabile. A volte sovversiva, a volte perversa, ma non nel senso che puoi intendere la gente, perché quello è un modo convenzionale. Mi piace allontanarmi da quello che la gente pensa che io possa fare. È bello sfidare le convenzioni. Forse la miglior definizione di Madonna è contraddizione vivente. Ma non per scelta o per voglia di stupire a tutti i costi, solo perché sono fatta in questo modo. È sempre stato così, fin da piccola».

Per la prima volta durante l’intervista, Madonna finalmente sorride. E racconta un episodio della sua infanzia. «Ero bambina e, d’estate, mio padre ci portava in macchina da mia nonna, in Pennsylvania. Era un viaggio lunghissimo, così almeno sembrava a noi. A metà strada mio padre fermava l’auto e ci faceva entrare tutti in un negozio di dolciumi, dove ne compravamo a volontà. Una volta tornati in macchina, i miei fratelli e sorelle scartavano immediatamente i dolci per divorarli. Io niente, aspettavo.

E solo verso la fine del viaggio, quando tutti avevano finito la loro razione, tiravo fuori i miei dolci e li mangiavo, molto lentamente, invidiata da tutti. E guardavo i miei familiari, gustandomi ogni morso. Ero anticonvenzionale fin da allora, ma con un forte senso della disciplina. Resistevo, avevo il coraggio e la voglia della sfida tipica degli adulti. Non sopporto di fare una cosa solo perché la fanno tutti gli altri».

L’EMOZIONE

Mi affido a domande rapide, le chiedo di rispondere di getto. L’emozione più grande. «Il mio primo concerto vero. Sono salita sul palco e ho sentito il ruggito della gente, un boato immenso. Non ho più provato una sensazione simile, anche se il mio successo è aumentato, anche se dopo quella sera mi è capitato di suonare davanti a centomila persone».

La domanda più stupida che le hanno fatto. «Non credi di essere andata un po’ troppo oltre?. Ma oltre che cosa? Il buon gusto, il buon senso, il perbenismo, la vergogna, i miei meriti, la fortuna? Non si va mai oltre, nella vita si va. A testa alta». La cosa più eccitante. «Dare ordini. O ubbidire. Esercitare o subire il comando sono le cose più vicine all’orgasmo che abbia mai conosciuto». La ferita. «Il fatto che la gente preferisca vedere le celebrità cadere nella polvere piuttosto che gli sconosciuti salire nell’Olimpo».

ANTONIO BANDERAS

Parliamo anche di gossip. Di Antonio Banderas («Mi presi una cotta per lui e feci l’impossibile per farlo innamorare di me, ma era sposato») e di John John Kennedy a cui si diceva avesse leccato burro d’arachidi dal petto. «Senta, potrei capire la cioccolata, il miele, il latte. Ma non trovo niente di eccitante nel leccare burro d’arachidi dal corpo del proprio partner. Ho imparato a ridere del gossip. Più le storie sono strane, più rido. Lascio tutto dietro le spalle e non me ne curo. Visto che non è possibile fermare quel che si dice su di me, faccio il possibile per non impazzire».

PIER PAOLO PASOLINI

E poi, l’amore per l’Italia. I luoghi e il cinema. «Il neorealismo. Bacio la terra dov’è passato Pasolini, un genio. Avrei voluto essere al posto di Anna Magnani in Mamma Roma. Apprezzo anche il primo Bertolucci, Fellini, Rossellini, Visconti. Ho sempre un film nella mia testa, quando scrivo o quando canto.

Alla fine dell’intervista, prima dei saluti, le chiedo se è sempre sincera nelle risposte. Ride. «Ovviamente no. Non sono mica stupida. Solo agli amici veri racconto tutta la verità, nient’altro che la verità. La maggior parte della mia vita, per come l’ho raccontata ai giornalisti, è pura invenzione». Ultima domanda: come vorrebbe essere ricordata?

«Come una puttana. No, scherzo. Non ci voglio proprio pensare. Mi basta essere diventata una leggenda da viva».

Torna l’appuntamento settimanale con “Mi ritorni in mente”, in cui Massimo Cotto ricorda gli incontri più memorabili della sua carriera di giornalista con le grandi star del mondo dello spettacolo.

Articolo di Massimo Cotto pubblicato da “il Messaggero”

 

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