Mamma la destra!

“Chi cerca il terremoto prossimo venturo deve andare in fondo, a destra. È l’area politica più attraversata dallo spirito dei tempi, uno spirito ribelle che soffia nelle sue vele spingendola quasi ovunque verso il successo elettorale, dopo la conquista dell’egemonia culturale, con i pensieri concorrenti in ritirata”. Mamma mia, chi è questo prosatore di destra in preda all’entusiasmo e al delirio di onnipotenza? È Ezio Mauro, già direttore de la Repubblica in un editoriale dell’altro giorno sul medesimo quotidiano. Abbiamo omesso solo una parola di quel brano – “feroce” – che dà una connotazione negativa al testo, ma per il resto sembra scritto da un euforico annunciatore della destra dilagante. Invece, per dirla con Ungaretti, è solo allegria di naufragi. Ma ha ragione il sismografo Mauro, c’è davvero nell’aria questo terremoto, questo vento possente e globale, questa egemonia culturale destrorsa?

Che ci sia un’inversione di tendenza nel mondo, di segno populista, identitario, a volte conservatore e sovranista, per usare il gergo corrente, lo scriviamo da tempo. E che in questo alveo si spiega il successo della Lega di Salvini è altrettanto evidente. Ma ha senso parlare ancora di destra se le forze che rappresentano quest’ondata quasi mai si definiscono tali e se il vecchio linguaggio novecentesco riesce a malapena a sopravvivere in modo residuale? Da noi l’unica forza politica che si definisce di destra è Fratelli d’Italia, anche se da tempo il gergo sovranista ha preso il sopravvento anche nel partito della Meloni. Ma parliamo di una forza che è ancora attestata intorno al 4/5 per cento, e per dirla con un altro poeta, Eugenio Montale, “Vissi al cinque per cento, non aumentate la dose”.

A credere all’esistenza della destra e di una nuova destra prevalente, è rimasta la sinistra; è il modo per darsi ancora un ruolo, una missione e una funzione politica, per chiamare a raccolta le forze anti-destra ed è soprattutto un modo per credere ancora all’esistenza della sinistra. Il sottinteso dell’editoriale di Mauro e di ogni analisi sulla destra è che ogni destra vincente è sempre impresentabile, eversiva, criminale; mentre la destra buona è quella che non esiste, e se esistesse sarebbe perdente, quella che lorsignori chiamano destra liberale, moderata, moderna, europea. Quel che la sinistra teme più di ogni cosa è la saldatura tra radicali e moderati, tra populisti e popolari, tra sovranisti ed euro-temperati; se restano divisi hanno più probabilità di essere perdenti.

In realtà il “terremoto” in questione non ha bisogno di essere definito di destra, o perlomeno è irrilevante l’etichettatura; è una risposta alla globalizzazione, allo sconfinamento, allo spaesamento, allo sradicamento dei popoli, al prevalere degli interessi oligarchici economico-finanziari sugli interessi generali e diffusi. Ed è una risposta che esige decisioni sovrane, che garantisce sicurezza e identità. È proprio Identità la parola chiave con cui Francis Fukuyama riassume lo spirito del nostro tempo già nel titolo del suo ultimo saggio. Ed è “riconoscimento” la parola chiave che lui usa, sull’onda di un nostro sociologo scomparso l’altro giorno, Alessandro Pizzorno. Una parola che implica l’identità e il riconoscimento dei bisogni e della dignità dei popoli. Questa è l’onda che cresce nel mondo, da Oriente a Occidente, rispetto a cui l’Europa risulta sguarnita e sgualcita, incapace di solide argomentazioni, attaccata al suo balbettante politically correct, che è l’ultimo dogmatismo ideologico di voga. E poi al resto pensano i funzionari, gli eurocrati.

Ma si può dire che questo mondo “di destra” abbia conquistato l’egemonia culturale, come scrive Mauro? A me pare di vedere in questo fenomeno la rivincita della realtà, l’insorgenza di bisogni veri, di istinti e di istanze diffuse, rispetto alle costruzioni ideologiche, economiche e tecno-finanziarie dominanti. Ma avrei difficoltà a definirla “egemonia culturale”; è piuttosto l’emergere di un sentire comune, non di un pensare comune o meglio comunitario. È l’affiorare spontaneo della realtà non è l’organizzazione di un potere culturale, la sua ramificazione e la sua presenza strategica. Poi, certo, ci sono movimenti e leader che riescono a essere empatici con questo fondo affiorante, che riescono a cavalcare la cresta dell’onda, come navigati surfisti. Ma sono pochi i tentativi di far maturare il sentire in un pensare, i bisogni in principi, gli impulsi in idee e in disegni duraturi. E di trasformare un’onda in una cultura.

Anziché suonare l’allarme per la destra che cresce, chiedetevi piuttosto perché la sinistra è fuori dallo spirito del tempo, fuori dal mondo e dalle sue stesse istanze sociali e popolari, anche se è dentro il potere culturale e istituzionale; chiedetevi perché il suo linguaggio intercetta solo temi laterali e gruppi elitari o comunque minoritari, e non risponde alle urgenze immediate e profonde della gente e del nostro tempo.

Ma per Mauro, come per tutti i suggeritori furbi di sinistra, il modello politico della destra dovrebbe essere, come lui scrive, McCain, cioè una figura che separi la destra moderata e liberale da quella sovranista e populista. L’esempio è perfetto: McCain è in effetti il candidato ideale. Ma per la sinistra, perché perdette la sfida con Obama. Scegliere la soluzione McCain sarebbe un caso di auto-castrazione chimica per la destra. Grazie per il consiglio ma pensate a rianimare la sinistra piuttosto che ingegnarvi a neutralizzare “la destra”.

MV, La Verità 6 aprile 2019

 
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