Marco Tutino nuovo direttore artistico del teatro Verdi di Pisa
Finalmente una buona notizia per l’arte e la cultura. Il maestro Marco Tutino, il più noto ed eseguito tra gli operisti italiani viventi, è stato nominato nelle scorse settimane direttore artistico del teatro Verdi di Pisa per il triennio 2025 -27: la nomina, deliberata dal consiglio di amministrazione presieduto da Diego Fiorini, lo ha visto prevalere in una selezione a cui hanno partecipato più di 50 candidati.
Il maestro Tutino ha del resto un curriculum di tutto rispetto e non solo come compositore: è stato infatti direttore artistico dei Pomeriggi Musicali di Milano, del Regio di Torino, sovrintendente e direttore artistico del Comunale di Bologna, consulente artistico e compositore residente della Fondazione Arena di Verona, solo per citare alcune tappe
Sul piano artistico è autore di numerosi melodrammi, tratti spesso da capolavori della letteratura italiana e straniera (Le Braci, il Berretto a Sonagli, La lupa, la Ciociara, Falso tradimento). Uno di questi, La Ciociara, ha avuto un trionfale successo al festival di Wexford dello scorso anno. Ringraziamo il maestro per aver acconsentito a rispondere ad alcune domande.
Maestro, come si è arrivati a questa nomina al Teatro Verdi di Pisa?
Come succede spesso: per caso! C’è stato un bando, ho pensato di poter essere utile, ormai ho 70 anni, non potrei più andare in una fondazione, mentre mi è possibile lavorare da libero professionista in un teatro di tradizione. Il mio è un periodo della vita in cui a mio parere si restituisce più che prendere e quindi credo che figure come la mia possano solo essere utili a questi teatri che hanno bisogno soprattutto di esperienza e di qualità.
Qualche programma? Che cosa ha in mente per il triennio in cui sarà direttore artistico?
Intanto devo ancora entrare in quel teatro, conoscere chi ci lavora: credo che non esistano programmi preconfezionati in assoluto, ogni teatro è diverso, ha le sue esigenze, le sue professionalità interne, il suo mondo interiore, il suo pubblico, il contesto in cui è nato e cresciuto. Quindi bisogna prima arrivare e poi capire qual è il modo migliore di pensare al futuro artistico di queste istituzioni.
Allora qualche autore o titolo che, sempre che ci siano le condizioni per farlo, le piacerebbe far rappresentare?
Credo che comunque si debba rispettare il pubblico che ha delle esigenze molto precise su tutto il repertorio della tradizione italiana. È possibile che ci siano titoli che mancano da molto tempo e quindi si deve prima verificare se alcuni pilastri della nostra cultura hanno bisogno di essere riprogrammati perché assenti da molto. Poi naturalmente c’è tutto il capitolo che riguarda il Novecento italiano che è stato molto trascurato e in alcuni casi anche volutamente dimenticato. Verso questi titoli penso che si debba fare uno sforzo di attenzione e cercare di riprogrammarli. Ci si chiede come mai non vengano un po’ più indagati. Bisogna poi pensare al fatto che esiste un circuito toscano e che c’è un festival Mascagni con il quale si può collaborare proficuamente. Penso che verso questi autori si debba fare uno sforzo da parte dell’organizzazione, di chi immagina come produrli, ma anche uno sforzo di disponibilità da parte del pubblico. Credo che questa ci sia perché poi in realtà sono autori amati e quindi perché non darli?
Tasto forse un po’ dolente, ma dovrà ovviamente fare i conti anche con le disponibilità economiche: come è messo il mondo dell’opera da questo punto di vista?
Non è messo bene da tantissimo tempo. Questa congiuntura non è stata superata brillantemente negli anni perché l’Italia è abbastanza specializzata nella non valorizzazione del suo patrimonio in generale. Però in questo ambito bisogna usare molto la competenza e anche quello che nella vita sono riuscito a guadagnarmi, ovvero un minimo di stima; quindi penso che facendo appello a un credito che credo di avere verso tanti artisti che operano proficuamente si possano ottenere condizioni favorevoli. Poi naturalmente c’è la coproduzione, che è il sistema migliore per abbattere problematiche economiche; però non esistono soltanto le coproduzioni più ovvie, bisogna aprirsi al mondo e capire quali sono le realtà con le quali sia possibile collaborare, ma farlo è assolutamente inevitabile.
Quali sono le maggiori difficoltà che può incontrare un direttore artistico, soprattutto nell’ambito di un teatro di tradizione e non di una fondazione?
Penso che le difficoltà maggiori possono venire un po’ dall’abitudine, dal fare cose semplicemente perché sono più semplici, più consuete, strade già percorse. Adagiarsi nella routine secondo me è il pericolo principale perché se non si fa uno sforzo di inventiva, di immaginazione e di sfida anche in questi teatri si rischia di restare nella propria zona di conforto e questo alla fine abbassa molto la qualità. È necessario fare uno sforzo, a livello di idee e di collaborazione generale, anche se non è cosa facile da ottenere ma vale la pena di provare.
Parlando un po’ adesso di lei come compositore, mi sembra finalmente che questi ultimi anni abbiano visto tra Wexford e alcuni teatri italiani una discreta circolazione dei suoi titoli. Sono rimasto colpito leggendo nel suo libro Il mestiere dell’aria che vibra quel punto in cui lei parlava di uno ostracismo proprio di Casa Ricordi, motivato dal fatto che lei non era un compositore “intellettuale”….
Questo è un passato molto lontano, sono trascorsi quasi 50 anni. Finalmente possiamo dire che quell’atmosfera si è dissolta. Quel tipo di ostracismo militante da parte di una corrente allora molto diffusa e con ramificazioni nell’editoria, nelle pubblicazioni, nelle istituzioni si è indebolito, anche se non è scomparso del tutto. Però mi sembra che oggi questa cosa non sia più così pesante. Certo ci sono ancora molti pregiudizi che sono uno strascico di quella stagione così fortemente ideologica e fortemente improntata a dividere il mondo in amici e nemici e fare anche azioni non corrette. Oggi mi pare che si possa ragionare in maniera diversa.
In queste ultime produzioni lei tra l’altro come autore, posizione oggi purtroppo rara perché purtroppo sono pochi oggi gli autori di opere, è venuto in contatto con diversi interpreti, direttori, cantanti. Quali sono i direttori d’orchestra di nuova generazione che reputa particolarmente validi?
Personalmente ho avuto delle esperienze molto positive soprattutto con Francesco Cilluffo che sta facendo una bella carriera. Adesso ha inciso questa produzione del Nerone di Boito a Cagliari che è di grandissimo valore. Poi anche con Alessandro Cadario che ha diretto molta mia musica ultimamente: è un ragazzo giovane ma di grandissima qualità musicale, ha una natura prorompente. C’è inoltre Giuseppe Finzi che ha diretto la Ciociara a Cagliari con grande successo; Beatrice Venezi che ha diretto a Sassari Falso tradimento con ottimi risultati. Le realtà nuove ci sono. Ci sono poi direttori che dirigono molto all’estero ma forse un po’ meno da noi come Antonino Fogliani. Mi sono sempre chiesto come mai date la grandissima qualità ed esperienza. Fogliani è un musicista che dovremmo non dico riportare perché ogni tanto per fortuna c’è, ma averlo più presente. Ci sono figure che spariscono, si allontanano per un certo periodo senza che se ne comprenda il motivo. Persistono invece certi soliti noti …
Ovviamente non le chiedo se lei farà rappresentare qualche opera sua anche se secondo me sarebbe molto interessante, però …
No, mi sembra una cosa da evitare perché non mi sembrerebbe corretta; anche i teatri con i quali si collabora in maniera stretta e consueta è meglio che non programmino musica mia perché mi sembra più che evidente che poi possa essere oggetto non dico di ricatto, ma di scambio; cosa che non è né elegante né utile al bene del teatro. Non è assolutamente una cosa fattibile. Speriamo che ancora per qualche anno qualcuno si ricordi di me, ma certo non ho bisogno di usare un teatro per sviluppare ulteriormente la mia carriera.
Un’ultima domanda per il compositore: c’è qualche nuova opera in cantiere?
Progetti ce ne sono, però in questo momento non ho ancora concretizzato nessuna realizzazione della quale possa parlare. Naturalmente non ho mai smesso di immaginare, appena finisco un’opera comincio a pensare alla prossima, quindi ho due o tre titoli ai quali tengo molto che potrebbero anche essere di grande impatto, ma ovviamente non ne posso parlare prima di avere qualcosa di concretizzato.
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