Matteo Cambi – «Avevo sei anni ed era un sabato mattina quando mio papà venne ucciso in macchina da un automobilista che non aveva rispettato lo stop. Quel ricordo non mi abbandonerà mai e, credo, sia all’origine di ogni mia debolezza». Le parole di Matteo Cambi, il giovane imprenditore che all’inizio del nuovo millennio, divenne miliardario e popolare con la marca di magliette “Guru”, sono asciutte e telegrafiche e per questo ancor più profonde e veritiere. Il racconto di quel momento in cui comprese che suo padre era morto in un incidente stradale hanno la cifra sincera di chi, ancora adesso, deve fare i conti con quel ricordo.
Matteo Cambi a soli ventidue anni divenne un fenomeno di marketing e di imprenditoria ma dentro macerava una mancanza che forse non riuscirà mai a colmare l’assenza del padre e del vuoto che ha lasciato. Forse Matteo Cambi da poco sta costruendo, partendo da quel vuoto, il suo mondo e, forse, soltanto da poco ha imparato ad amarsi e a non fare annegare quella scintilla creativa che lo ha sempre contraddistinto. «Mia mamma quando morì mio papà aveva ventisei anni ed aveva costruito assieme a lui l’evoluzione di quella piccola impresa di maglieria a Carpi che era della sua famiglia».
Ed il tuo papà cosa faceva?
«Papà veniva da Prato e quando conobbe e sposò la mia mamma si occupava del commerciale; in realtà era uno straordinario uomo di pubbliche relazioni».
Matteo Cambi bambino che sogni aveva?
«Volevo diventare pilota di aerei. Era il mio sogno ed infatti iniziai a prendere lezioni di guida ma non terminai mai i brevetti. Io venni letteralmente folgorato dal film Top Gun con Tom Cruise e decisi di andare a prendere il diploma all’istituto aeronautico ma mia madre, pragmatica e con i piedi per terra, mi disse che era meglio fare ragioneria per avere alla fine dei cinque anni un diploma; e così fu».
E la nascita della impresa Guru?
«A diciotto anni venni in possesso della assicurazione sulla vita che mio padre aveva fatto per me. Ebbi così a disposizione un miliardo delle vecchie lire e decisi di andare un po’ in America per capire il valore del marketing per una impresa. Tornato in Italia insieme ad un mio amico, Gianmaria Montacchini, fondammo la “Guru”. L’azienda aveva come cuore dell’investimento delle magliette con una margherita».
Come ti è venuta l’idea? La “Guru” ebbe immediatamente un grande successo?
«All’inizio, il primo anno, no. Poi venne presa da uno show room di Milano e tutto esplose. Alla fine la Guru fatturava cento milioni di euro all’anno».
Grande successo economico e di popolarità…
«Già, proprio la popolarità che è diventata una delle mie dipendenze maggiori».
Spiegami Matteo…
«Ero entrato in un vortice in cui tra cocaina e voglia di apparire non riuscivo più a gestirmi».
Come hai iniziato a fare uso di cocaina?
«Un giorno, quando avevo ventiquattro anni, un mio amico mi regalò degli ovuli. Credimi che non capivo di cosa si trattasse ma facevo finta di sapere tutto; devi pensare che fino a quel momento non avevo mai fumato nemmeno una canna. Porto questi ovuli a casa e li tengo nascosti in una cassa di champagne per un po’ di tempo fin quando una sera, era un venerdì, provai quella sostanza».
Cosa sentisti?
«Io sono sempre stato un ipocondriaco spaventato dal perdere il controllo e non sentii nulla, né di positivo né di negativo, e così, ogni venerdì sera iniziai a fare uso di cocaina. Da quel momento la droga è diventata la mia compagna di vita. La cocaina gestiva le mie emozioni. I miei alti e i miei bassi. Mi facevo dieci pezzi al giorno e quando ero in astinenza, grattavo il muro con la bibbia. Simulavo che il bianco della parete fosse bamba. Sono vivo per miracolo».
E quando parli della dipendenza alla notorietà a cosa ti riferisci?
«Le magliette divennero famose inizialmente ad un gruppo di amici calciatori come Vieri e Maldini che le iniziarono ad indossare. Ero diventato un gigante con i piedi d’argilla smanioso di essere riconosciuto. E così per questa mia debolezza spesso iniziavo delle relazioni con persone del mondo del jet-set per andare sui giornali».
Quindi erano relazioni false?
«Assolutamente no, erano relazioni che nascevano da un sentimento vero che però io trasformavo, ed usavo, per avere visibilità. Da Arianna Marchetti a Fernanda Lessa per passare da Stefania Orlando erano tutte storie vere ma io le usavo, chiamando anche i fotografi, per finire sui rotocalchi dei giornali di gossip».
E di questo “bel mondo” ti è rimasto qualcuno accanto?
«Nessuno anche perché io per primo non ho cercato alcuna persona. L’unico che, ancora adesso, considero come un padre è Flavio Briatore; fu lui che mi fece fare il salto di qualità internazionale con la “Guru” facendomi sponsorizzare Alonso e la Renault di Formula uno. E proprio Flavio Briatore ultimamente l’ho cercato ed è stato molto gentile con me».
Il successo e poi l’arresto…
«Stavo andando a Forte dei Marmi e mi chiamarono da un numero fisso di casa. Era un generale della Guardia di Finanza che mi disse che c’era bisogno di me a casa perché dovevano notificarmi degli atti. Così tornai indietro e mi misero in arresto. Era l’11 luglio del 2008 ed insieme a me vennero arrestati mia mamma e il suo compagno».
Un colpo tremendo l’arresto?
«Esplosero, in quel momento, tutte le mie fragilità e soprattutto il dolore per mia madre che non meritava questo. Da lì però il cammino verso una presa di coscienza di chi ero e di come ero fu ancora lungo».
Tu hai pagato ogni conto con la giustizia?
«Ho risarcito sessanta milioni di euro e ho fatto sia il carcere sia il percorso in terapia per disintossicarmi dalla cocaina».
E ci sei riuscito?
«Oggi, dopo anni di analisi, sono completamente pulito da tutto e, devo dirti che anche l’esperienza all’isola dei famosi fu importante».
Perché?
«Andai lì sempre per visibilità anche se raccontai che avevo bisogno di soldi. Feci una figura pessima e compresi, proprio in quel momento, che dovevo ristrutturare la mia esistenza».
E da dove sei partito per fare questo?
«Innanzitutto da me stesso attraverso un percorso dolorosissimo di analisi e disintossicazione e poi dalla mia famiglia, e da mia moglie».
Tua moglie è Stefania Marusi, vi siete sposati nel 2014 ed avete una figlia, Melissa di quindici anni …
«Loro sono la mia ragione di vita e Stefania con cui ci frequentiamo dal 2000 ha sempre rappresentato il buono ed il bello della mia vita. Mia moglie è una donna straordinaria oltre che coraggiosa ed è stata capace in questi ultimi anni di combattere e vincere la battaglia contro un tumore, per fortuna benigno, al cervello. La forza e la determinazione di Stefania è meravigliosa e mi insegna tanto ogni giorno».
Cosa vorresti dal futuro?
«Mantenere questa serenità che mi fa vivere bene e proseguire il mio cammino imprenditoriale che ho nuovamente intrapreso con due amici, Christian e Massimo, con i quali stiamo sviluppando un marchio di moda che si chiama Valvola».
Persone negative nella tua vita con cui ti piacerebbe avere una rivincita?
«Non ho persone negative da combattere ma solo persone che non intendo più vedere».
Giovanni Terzi per “Libero quotidiano”
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