Se il cinema e la tv in Italia non fossero dominati da conformisti un po’ vigliacchi e mezze calzette, dovrebbero dedicare un film, una fiction, a una leggendaria impresa italiana e all’avventurosa esistenza del suo promotore.
Sto parlando di Italo Balbo che diventò un mito in America e nel mondo dopo le sue temerarie trasvolate dell’Atlantico, da Orbetello a Rio de Janeiro e poi a Chicago, a New York, dove fu accolto trionfalmente come il Cristoforo Colombo del Novecento. Nei giorni scorsi sono riemerse le carte inedite di Balbo dall’Archivio centrale dello Stato e si è aperta la misera caccia a mezzo stampa alla frasetta razzista o antirazzista di Balbo. Si dimenticano le sue imprese epiche, la storia e il personaggio per decidere se assolvere o impiccare Balbo a una parolina corretta o sconveniente.
Interventista alpino nella grande guerra, dannunziano a Fiume e nel governo del Carnaro, fascista prima del fascismo; ras di Ferrara e Quadrumviro della Marcia su Roma a soli ventisei anni; poi Comandante generale della Milizia fascista e Maresciallo dell’Aria, Balbo fu il mito vivente dell’aeronautica italiana. Ispirò l’Aeropoema del Golfo di F.T.Marinetti e la passione futurista per i cieli e i voli, entusiasmò giovani, militari e sportivi e diventò il modello di una vita ardimentosa, in terra e in cielo, oltre le nuvole.
Le sue trasvolate prima nei cieli del Mediterraneo e poi nell’Atlantico fino in Canada, non furono solitarie, ma con lui partì un’autentica flotta: per gli Stati Uniti nella celebre Crociera del Decennale del 1932, partirono ben 24 velivoli dall’Italia. In America Balbo fu accolto come un eroe e uno scopritore, suscitò la fierezza degli emigrati italiani, e fu con Primo Carnera il simbolo del riscatto e del ritrovato orgoglio d’italianità tra gli italo-americani. L’Italia raggiunse con lui la punta più alta di ammirazione oltreoceano.
La sua popolarità, dopo le trasvolate, insidiò quella del Duce, che a un certo punto lo mandò in Libia come governatore. Ma anche lì, a Tripoli, Balbo si distinse chiedendo l’integrazione dei libici come cittadini italiani nel rispetto della loro religione islamica. Anche Mussolini nel ’36 aveva brandito la spada dell’Islam, e l’Italia fascista prometteva alle popolazioni indigene di liberarle dalle schiavitù, cantando con Faccetta nera: “ti porteremo a Roma liberata, sarai camicia nera pure tu”. In Libia l’opera di Balbo produsse leggi, opere pubbliche, politica sociale e trasformazioni.
Nel discorso che gli dedicò a due anni dalla sua tragica scomparsa, Giuseppe Bottai disse: “Un’Italia nuova s’avanza con gli aerei di Balbo nella storia del mondo e ne muta, raccorciando le distanze, i termini. L’Italia appena unificata, pone i problemi di una più vasta unificazione. Mari, oceani, continenti, razze si rimescolano al rombo possente della nostra ala; e i popoli, dagli orti conchiusi delle loro nazionalità, intravedono sistemi nuovi di rapporti tra loro”. Superamento delle razze, mescolanza e integrazione dei popoli, nazionalità non più chiuse nei loro orti… Sono parole pronunciate nel giugno del ’42, in piena guerra; parole che Balbo avrebbe sottoscritto. È la globalizzazione, ma sotto l’egida dell’universalità di Roma. Balbo ne fu un precursore.
In Libia Balbo riceveva spesso visite d’italiani illustri e di amici. Una volta, si racconta, andarono a trovarlo Ettore Muti e Leo Longanesi e insieme decisero d’imbastire uno scherzo. Longanesi fu vestito da Re Vittorio Emanuele III, essendo anche lui di bassa statura, e nascosto dietro l’enorme visiera, si spacciò per il Re in visita in Libia e si fece scorrazzare in un’auto scoperta mimandolo in modo buffo. Quando lo venne a sapere il Re fece le sue rimostranze a Mussolini. Il Duce convocò i tre, fece una sfuriata tremenda, ma poi volle conoscere i particolari dello scherzo e non riuscì a trattenere le risate.
Balbo diffidava dei tedeschi allora alleati ed era critico sulle leggi razziali.
A pochi giorni dall’entrata in guerra, nello stesso giugno del 1940, morì in uno strano incidente aereo nei cieli di Tobruk a soli 44 anni, abbattuto da una contraerea italiana. Morì con lui Nello Quilici, direttore del Corriere padano, padre di Folco. Insignito della Medaglia d’Oro, Balbo fu sepolto a Tripoli nel Monumento ai Caduti. Disse di lui Mussolini: “Era un autentico rivoluzionario, il solo che avrebbe potuto uccidermi”, che strano elogio funebre…
Ho tra le mani la biografia che Titta Rosa dedicò nel ’41 a Balbo e che non è stata più ristampata (come del resto l’ironica Vita di Pizzo di Ferro che Curzio Malaparte ed Enrico Falqui dedicarono a Balbo vivente già nel ’31); me l’ha donata Roberto Mugavero, l’editore Minerva, che mi ha fatto visitare anche lo straordinario castello di Balbo a Punta Ala, oggi di proprietà dell’imprenditore Gino Pasotti. Titta Rosa descrisse ai funerali di Balbo “la folla in lagrime, immensa, d’ogni religione, d’ogni razza”. E seguitava: “Era morto il suo Eroe più bello, giovane come un dio antico, che amava la vita, la bellezza, la bontà”. Toni retorici da regime, si dirà e non a torto; ma la commozione per la sua morte prematura e la mitizzazione non solo italiana del personaggio rispecchiavano la realtà.
Una vita straordinaria come la sua tra imprese da primato, così ricca d’intrecci, esperienze esuberanti e mondi nuovi, sarebbe un’epopea degna di un film. Che dite se piuttosto che dedicare film a Stefano Cucchi, a Tommaso Buscetta, a mafiosi, camorristi e delinquenti vari, a Chiara Ferragni, non sarebbe più affascinante e istruttivo dedicarne uno a un italiano speciale come Italo Balbo tra storia, cieli e terre?
MV, La Verità, 22 settembre 2019