Michele Serra ha fatto dondolare la sua Amaca sul sottoscritto. Forse nel dolce cullarsi si è appisolato un po’ però, ed ha sognato, finendo per collezionare una serie di affermazioni che con realtà storica niente hanno a che vedere.
“Se non esiste, tra i contemporanei, un Otto Hitler, non è solamente per ragioni biologiche (l’omino coi baffi non ebbe figli). È perché in Germania i conti con il nazismo sono stati duri e definitivi, ed eventuali eredi del vecchio Adolf avrebbero certamente provveduto a cambiare cognome e rifarsi una vita lontano da quell’ombra orrida e vergognosa”, scrive su Repubblica. Prosegue spiegandoci che “In Italia, si sa, le cose sono molto diverse. I conti con il fascismo non sono mai stati fatti” – Serra conclude poi inesorabile: “se il pronipote del Duce non si candidasse alle europee con Fratelli d’Italia, oppure non si candidasse affatto e gestisse una gelateria a Guidonia: beh, sarebbe già qualcosa”.
In Italia i conti con il fascismo sono stati fatti, il problema del nostro Paese è opposto, guardiamo sempre indietro, invece di volgere lo sguardo al futuro. Il discorso è molto diverso in Germania, dove i conti con il nazismo non sono, purtroppo, mai stati fatti. Il tema, tra l’altro, è oggetto di un’ampia saggistica (prevalentemente di autori dichiaratamente schierati a sinistra), dalla quale emerge un quadro antitetico da quello dipinto dal giornalista di Repubblica. I tedeschi hanno posto una pietra sopra gli orrori perpetrati dal regime hitleriano, senza mai rendersi disponibili ad elaborare il passato, relegato, de facto, all’oblio. Un tabù che ha trovato terreno fertile nei nuclei familiari, nei quali ai bambini era sostanzialmente vietato fare domande sul tema.
Ma questo Michele Serra dovrebbe saperlo, il libro di riferimento sui conti con il nazismo che la Germania non ha mai voluto fare ha un titolo inequivocabile: “Amare Hitler. Storia di una malattia”, ed è pubblicato, in Italia, da una casa editrice, la Dalai editore, con cui Serra stesso collabora. L’introduzione al volume, edito Dalai, “Morti per la giustizia. Dieci testimoni a difesa della Costituzione”, non è forse a firma sua?
La descrizione che il giornalista-scrittore tedesco Peter Roos, autore del saggio sul tabù nazista, fa del proprio libro mi pare, per usare le parole di Michele Serra, dura e definitiva: “Tutti in Germania hanno amato il Fuhrer. Quasi tutti. Genitori, insegnanti, preti. E molti si sono lasciati alle spalle, senza alcuna riflessione, un’eredità così pesante…”.
Dubito, poi, che gli eventuali eredi di Hitler avrebbero provveduto a cambiare cognome e a rifarsi una vita lontano. Anche qui Serra dimostra di avere più dimestichezza con le amache che con la storia. Un esempio su tutti è quello di Heinrich Himmler, la personificazione del male assoluto, la cui figlia, Gudrun Himmler – morta lo scorso anno all’eta di 88 anni nella città natale di Monaco – non solo ha avuto un ruolo politico di spicco nel partito di estrema destra tedesco NPD, ma ha addirittura lavorato fino al 1963 per i servizi segreti della Germania Ovest, come segretaria. Con il suo cognome. Le colpe dei padri, nel mio caso del bisnonno, non devono ricadere sui figli. Il principio, ampiamente sostenuto dalla sinistra, non può valere solo quando si parla della famiglia Renzi.
Forse Serra, mentre si dondola sull’amaca, dovrebbe dedicare più tempo a leggere che a scrivere; nelle pause gli consiglio vivamente di ristorarsi con l’ottimo gelato prodotto a Guidonia.