Milano – Questa storia inizia e finisce con un numero di telefono. Un numero ogni volta diverso, ma sempre attivo. Un cellulare con una rubrica telefonica che vale centinaia di migliaia di euro.
Nel 2017, il «Nokietto» con i numeri dei clienti della banda della Comasina al quale rispondeva il centralinista «Frank» è stato venduto a un altro gruppo di narcos per 200 mila euro.
Un numero di telefono, un centralinista che smista le chiamate, una rete di «cavallini» già in strada, ciascuno con una zona di competenza e con in tasca 15 dosi di cocaina da vendere a 30 euro ciascuna. Il compenso di ogni cavallo incaricato delle consegne porta a porta è prestabilito: 3 dosi ogni 15 consegnate. Al pusher restano 90 euro, oppure può tenersi le 3 dosi e pipparsele per conto suo. Così si risolve il problema della cresta sulle consegne, della droga che sparisce.
Eccola qui la Milano coca delivery. La più grande, redditizia e invisibile industria criminale del capoluogo lombardo. Un sistema che ha cancellato lo spaccio in strada, riservato ad alcune zone della movida e sempre a pusher stranieri. E che, come per miracolo, ha fatto sparire la cocaina dagli occhi dei milanesi. Perché in quella che dieci anni fa era «Coca city», oggi la bamba è un’ emergenza inesistente: se ne parla pochissimo, la diffusione è aumentata e grazie a un’ enorme operazione di marketing criminale l’ acquisto di coca non passa più dai fortini della mala, ma da un semplice numero memorizzato nella rubrica.
Gianni, Frank o Natalino. Ogni gruppo di narcos ha il suo, ogni cliente può passarlo a un altro, ogni contatto è rigorosamente anonimo: niente fronzoli, solo la quantità e un indirizzo per la consegna. «La vera piazza di spaccio a Milano non è al bosco di Rogoredo. Ma è nella rubrica dei cellulari di qualcuno», sostiene il procuratore aggiunto Laura Pedio che coordina le inchieste sulla droga. E nelle sue parole c’è l’evoluzione di un mondo criminale. A tenere le fila sono le storiche famiglie di malavita, quelle calabresi e siciliane, la piazza di spaccio è un mondo virtuale e indefinito saldamente nelle loro mani. Senza allarmi per la sicurezza, senza attenzione da parte della politica.
Quartiere Isola, le 18.16 di giovedì 5 aprile 2018.
Al cellulare la voce di una donna di 42 anni, lavora all’ Agenzia delle Entrate. Dall’ altro capo del telefono c’è lui, Gianni. Accento meridionale, 46 anni, precedenti per narcotraffico e legami con i clan calabresi: «Questo è il numero nuovo, l’altro lascialo stare». Gianni ha cambiato scheda. Ogni volta che accade, per precauzione o per necessità, avverte i clienti. Uno a uno. Lo ha fatto anche alle 3 di notte del 17 settembre 2018, un sms identico inviato a tutta la rubrica: «Ciao ragazzi, sono Gianni. Sono tornato per voi. Preparate gli occhiali da sole, solito menù, lunedì dalle 17 in poi. A presto».
Lo riceve una ragazza di 18 anni, origini comasche, studi scientifici e famiglia in Svizzera: «Dal 2017 a fine aprile 2018 ho contattato Gianni per acquistare dosi di cocaina. Ogni volta che cambiava mi scriveva un sms dicendomi che era la sua nuova utenza».
Il 6 aprile, in una delle conversazioni intercettate dai carabinieri del Nucleo investigativo nell’ inchiesta coordinata dal pm Francesca Crupi (13 arresti), la ragazza chiede a Gianni di mandare qualcuno a «salutarla» in viale Premuda, vicino a piazza Cinque Giornate: «Mi sapresti dire più o meno che macchina ha? Perché se no ogni macchina che passa, che si ferma… vado lì come una cogliona».
L’sms con il nuovo numero di Gianni arriva anche a un ragazzo di 31 anni che abita a Porta Venezia: imprenditore, studi di lingue, istruttore di volo. «Ritengo che il riferimento agli occhiali da sole sia relativo allo stato di alterazione post assunzione di cocaina».
Il «pediatra» ha invece 42 anni, chirurgo con 11 pagine di curriculum, un incarico di prestigio in un ospedale milanese, abita vicino all’Arco della Pace: «Non conosco Gianni di persona. Dopo la separazione con la mia ex moglie ho avuto importanti manifestazioni dolorose che mi hanno portato ad assumere farmaci che mi provocavano una forte sonnolenza. Per tali ragioni ho deciso in alcune e sporadiche occasioni di assumere cocaina per cercare di stare meglio e lenire il dolore».
Nella rubrica c’è anche un ragazzo di 31 anni, casa in Porta Romana: «Il costo era di 30 euro a dose. Ricordo che in più circostanze mi era stato proposto uno sconto: una dose omaggio ogni 5 acquistate». Tra lui e Gianni ci sono 260 contatti solo nel mese di marzo 2018. Poi c’è una donna di 40 anni, giornalista con un lavoro nell’ ufficio stampa di una casa di moda. Dice di aver avuto il numero di Gianni «attraverso conoscenze personali» e di «averlo contattato con cadenza settimanale». Ce n’è un’altra di 41 anni che ha avuto il contatto tramite «un vecchio amico di Roma» e inizialmente solo per comprare «hashish a 70 euro al pezzo».
C’è l’imprenditore, l’agente di commercio, lo studente, il barista. Tutti con l’identica versione della storia. La banda di piazza Prealpi aveva invece «Natalino». I suoi uomini coprivano due zone della città: da piazzale Zavattari a piazzale Maciachini e da piazza Roserio a corso Sempione.
Le consegne avvenivano in orari quasi da ufficio. Identico portafoglio dei clienti. Come la manager di una multinazionale di 48 anni, casa vicino a corso Sempione: «Compro da lui da un anno, due dosi a settimana. L’ultima l’ho presa ieri», mette a verbale una volta interrogata dai carabinieri. Da Natalino si riforniva anche uno studente pugliese, oggi 39enne rampante e stimato avvocato e una informatrice scientifica di 53 anni, casa in zona Portello: «Faccio uso saltuario di coca da vent’ anni, da quattro compro solo da Natalino».
Non esistono statistiche in grado di quantificare l’enormità del fenomeno. Nel 2018 la sola polizia ha sequestrato a Milano 265 chili di cocaina. Tra gli investigatori si ipotizza che si riesca a intercettare solo il dieci per cento dei carichi. Le proporzioni sono presto fatte. È come se a Milano, su 1 milione e 400 mila abitanti compresi anziani e bambini, si consumasse una media di 2 grammi di polvere bianca a testa. Il tutto senza evidenti conseguenze sul fisico, sulla capacità di lavorare, e soprattutto sulle reti relazionali. Non è più lo status symbol degli anni Novanta, la «botta» di coca è percepita come un doping lavorativo, un «volano» per amicizie, affari e relazioni.
L’ultima relazione della Direzione centrale dei servizi antidroga (Dcsa) dice che in Lombardia si è concentrato il 16% delle operazioni contro il narcotraffico: 4.098 indagini nel 2018, con un incremento del 13,5%. Più di una su due riguarda Milano (2.426). L’ attività antidroga della Procura è affidata al coordinamento tra la Dda di Alessandra Dolci e il dipartimento guidato dall’ aggiunto Laura Pedio: «Rogoredo è un discount, abbiamo una qualità di bassissimo livello e anche prezzi da svendita – ha spiegato il magistrato lo scorso 22 ottobre davanti alla commissione antimafia guidata da David Gentili -. Basta un telefonino per avere una piazza di droga, in un telefono ci sono contatti che equivalgono a una piazza di spaccio».
Una volta il sistema della consegna a domicilio o del pusher di fiducia era riservato ad ambienti di un certo livello. Oggi il coca delivery è su larga scala, è diventato un’ enorme piazza di spaccio virtuale. Il capo, un personaggio di alto livello criminale spesso rifornito da trafficanti calabresi legati alla ‘ndrangheta, risponde al telefono-centralino. Il meccanismo è spiegato dall’ ex trafficante e oggi collaboratore di giustizia Laurence Rossi, 42 anni: «Costoro gestivano i cavallini i quali svolgevano turni h-24 di 8 ore ciascuno al termine dei quali si passavano tra loro il Nokietto con il nominativo e il numero dei clienti».
Sono almeno dieci le organizzazioni che in questo momento «coprono» con una suddivisione rigorosa tutto il territorio di Milano. Il cavallo spesso è incensurato, si muove in auto o in motorino. I clienti ne descrivono a decine: abiti casual, capelli curati, modi garbati. A volte arriva con la fidanzata al seguito.
La droga viene consegnata in bustine ricavate dai sacchetti gelo e «saldati» con un accendino. Il cavallo arriva, saluta, prende i soldi, passa il pacchetto e riparte. In alcuni casi la coca viene lasciata dietro a una cabina o a una cassetta postale. Senza neppure bisogno di uno scambio a mano. Questo aspetto è rilevante anche da un punto di vista sociologico perché ha eliminato la commistione tra i due mondi: quello dei consumatori e quello criminale. Tra il mondo di sopra e quello di sotto.
Cesare Giuzzi per il “Corriere della Sera”