Montanelli,la ricorrenza di un profeta scomodo

INDRO

Montanelli,la ricorrenza di un profeta scomodo.

“Forse uno dei guai dell’Italia è proprio questo, di avere per capitale una città sproporzionata per nome e per storia, alla modestia di un Popolo che quando grida ‘forza Roma’ allude solo ad una squadra di calcio.” diceva il grande fucecchiese, innamorato di Milano.

Amava ricercare la verità, spesso non aveva vie di mezzo

Un fatto da mettere in cronaca, perché è incredibilmente di attualità. Perché se si leggesse Montanelli, si capirebbero molte cose di questo paese. Per rubargli la battuta ancora una volta: “un popolo che non sa niente del proprio passato, non capirà mai niente del proprio futuro”.

Un grande giornalista

Montanelli è stato un giornalista immenso. Immenso perché ha fatto veramente della sua professione, la sua vocazione. Inviato di guerra da combattenti in Etiopia, in Finlandia, sul pezzo durante gli scontri di Budapest. Il suo corrispettivo femminile ideale si chiamava, forse non ne avrebbe pienamente piacere, Oriana Fallaci. Anche lei fiorentina.

Ma mentre la Fallaci era una giornalista, e soltanto una giornalista nel senso pieno del termine, che arrivò ad occuparsi di grandi questioni politiche in alcuni libri verso la fine della sua vita; Montanelli andava oltre il giornalismo da sempre. Era innanzitutto un grandissimo storico.Ed un uomo che nella sua analisi storica aveva saputo comprendere la natura degli italiani.

La coerenza delle idee

Era un uomo coerentissimo. Innanzitutto con una sua morale, e con i suoi principi. Una coerenza che lo portava, come giustamente ripeteva, a non poter essere leale ad alcun partito, ad alcun movimento politico. Non poteva assolutamente essere a servizio di qualcuno.

La coerenza a suo avviso, non era la mummificazione del pensiero. Ma la lealtà verso i propri principi e verso la propria morale, nel contesto attuale. Direbbe giustamente che solo i coglioni non cambiano idea. Ma, se Montanelli cambiava un’idea, lo faceva di sicuro non per interesse.

Un fratello di Longanesi

Montanelli aveva un fratello maggiore. Leo Longanesi . Magari Prezzolini avrebbe potuto essere il maestro di entrambi. Ma erano più tipi da cercare ispirazioni che maestri.

Leo Longanesi fu una figura importante nella vita di Indro Montanelli, soprattutto per il fatto che, avevano la stessa visione della coerenza. Non a caso Montanelli affermerà che con la morte di Longanesi morì anche la metà di sé stesso. La mummificazione del pensiero era un vero e proprio tradimento verso la coerenza e verso loro stessi.

Montanelli era stato in gioventù infatuato del fascismo, per venirne poi espulso e diventare antifascista. Si badi bene antifascista quando non conveniva assolutamente esserlo. Quando gli costò l’espulsione all’albo dei giornalisti, per una cronaca oggettiva da inviato al fronte sul teatro operativo della guerra spagnola.

Poi era stato favorevole alla monarchia, per preservare l’unica istituzione che a suo avviso avrebbe potuto tenere unito il paese con il suo passato. E dopo la monarchia era diventato per anni un elettore del partito repubblicano. Votando anche democristiano e socialista, ma sempre in funzione anticomunista.

Era andato via dal Corriere della Sera, non trovandosi con la nuova proprietà, giornale del quale era stato la penna più autorevole. Aveva fondato e diretto Il Giornale. Fino a rompere con Berlusconi, che comunque ricordava come un editore eccezionale, e fondare La Voce, un suo giornale ispirato proprio a Prezzolini. Fallito questo esperimento Montanelli tornò al Corriere.

Che ne sanno di Montanelli

Oggi lo ricordano poco e niente. Da quegli italiani di cui parlava che non hanno memoria del passato, figuriamoci cosa mai avrebbe potuto aspettarsi  Montanelli. Noi non siamo immemori solo di un passato lontano, ma anche di un passato relativamente vicino.

Quelli italiani che oggi per seguire qualche moda derivante dalla degenerazione culturale di quei giovani sessantottini, che a Indro tanto erano indigesti, oggi si vergogna di lui. Imputandogli una sposa bambina.

È dovuto arrivare a difenderlo persino Marco Travaglio.

Oggi uno squallido silenzio sull’anniversario della sua morte. A Fucecchio sulla città natale non c’è un monumento decente per il fucecchiese più illustre. A Milano la sua statua viene imbrattata di vernice. Magari da chi di lui non ha letto un rigo. Magari da chi non sa niente del proprio passato e non capirà mai niente del proprio futuro.

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