La musica è un’architettura senza edificio (Claudio Baglioni).
La musica composta secondo criteri architettonici richiede la conoscenza di alcune strutture, siano esse semplici o complesse, partendo semplicemente dall’ascolto musicale. La concentrazione dovrà essere selettiva e attenta, senza lasciarsi andare a “vaghe sensazioni” o impressioni provocate dai suoni.
Quando ascoltiamo un brano poniamoci domande tipo: quali strumenti e/o voci sono utilizzati? Che tipo di formazione o gruppo sto ascoltando (orchestra, quartetto, duo, ecc…)?
Ci sono strumenti che svolgono un ruolo da protagonista? Quali sono? Il ritmo è binario o ternario? Qual’è il volume del suono del brano (mediamente forte, piano, mezzo forte, ecc…)? Ci sono cambiamenti di volume durante il brano o è sempre uguale? Qual’è l’andamento del brano (veloce, lento, moderato, ecc…)? La melodia o tema, sempre che ci sia, è facilmente riconoscibile? La melodia è cantabile, triste, allegra, drammatica, monotona? Il brano è monodico (a una voce) o polifonico (a più voci)?
Le strutture musicali
La pittura trasforma lo spazio in tempo, la musica il tempo in spazio (Hugo Von Hofmannsthal).
Quando osserviamo un quadro, vediamo i soggetti, i colori con le loro gradazioni, le forme, lo sfondo. I più colti tra di noi sapranno poi distinguere un quadro da un affresco o un olio da una tempera, riconoscere l’autore, il significato dell’opera e il contesto storico e sociale in cui è nata.
Un procedimento analogo può essere fatto anche con la musica, facendo una breve ricerca per conoscere gli aspetti biografici del compositore, dove e quando si svolge o si è svolta la sua attività e le tendenze artistiche e culturali in cui opera o ha operato.
L’esecuzione è un altra fonte d’informazione preziosa. Conoscere per quale strumento o gruppo strumentale è stato scritto il brano, se è eseguito dal vivo o registrato in sala d’incisione.
Riguardo al primo punto si tratta di sapere qual’è l’organico originale destinatario del brano.
Se ad esempio il compositore progetta il brano per orchestra e lo ascoltiamo eseguito – trascritto e/o arrangiato – dal pianoforte, probabilmente non riusciremo a cogliere la ricchezza timbrica e strumentale pensata dal compositore. La pratica della trascrizione è sempre esistita e ci sono anche casi felici dove la trascrizione non è inferiore all’originale, anzi. Come esempio potremmo ascoltare e confrontare i “http://www.adhocnews.it scritta originariamente per pianoforte, con la trascrizione per orchestra fatta da Maurice Ravel.
Il secondo punto è la registrazione live o in studio. Entrambe presentano difetti e pregi. Dal vivo la registrazione non è sempre accurata, si sentono rumori di fondo, può essere squilibrata nei livelli sonori degli strumenti e delle voci, ecc… Tra i pregi: si “vedono” i musicisti e gli strumenti, elemento importante per l’ascoltatore che può così concentrarsi meglio nell’ascolto. Inoltre, dal punto di vista dell’acustica esiste una relazione precisa tra musica e architettura per cui la tendenza di collocare rappresentazioni operistiche, orchestre e solisti nelle locations più incredibili è quanto meno disorientante. La registrazione in studio e l’ascolto sui vari supporti come cd, mp3, cellulari, video e simili, offre una realtà falsificata rispetto all’ascolto diretto e andrebbe presa semplicemente come una documentazione di un’interpretazione musicale effimera, come per sua natura è l’atto musicale.
L’interpretazione
L’interprete, cioè l’esecutore, ha il compito di “resuscitare” lo spartito musicale dando vita a quei segni, a quei puntini (le note) che il compositore livornese Pietro Mascagni definiva “cacatine di piccione”.
La missione dell’interprete, simile a quella di un attore, è quella di dare un senso a ciò che esegue, proponendo un progetto interpretativo personale nel rispetto delle indicazioni del compositore.
Le qualità di un buon interprete sono una fusione di tecnica esecutiva e di espressione, della conoscenza dello stile e delle prassi esecutive nelle diverse epoche, della concentrazione assoluta durante l’esecuzione, della volontà di comunicare con gli ascoltatori, l’unità con gli altri esecutori, la qualità del suono del proprio strumento – voce o degli strumenti nel caso dei gruppi strumentali.
Un metodo elementare ma efficace per capire se un interprete è bravo o no, consiste nel riconoscere gli errori tecnici – inaccettabili a livello professionale – come il non andare a tempo, stonare, sbagliare stile, non pronunciare chiaramente le parole (nel caso di un cantante), non avere un “bel suono”. Attenzione però perché anche un “bel suono” può essere inespressivo mentre un suono più bruttino può essere “bello” se fa parte di una ricerca personale dell’artista. Mi viene in mente l’esempio della tromba di Miles Davis, con quel suono piccolo ma inconfondibile, che ha rivoluzionato il Jazz influenzando molti altri trombettisti e musicisti.