Nessuna convivenza pacifica fra Israeliani e Palestinesi?
La posizione ufficiale degli Stati Uniti nel conflitto israelo-palestinese, almeno da Bill Clinton in poi, passando per George W. Bush e Barack Obama per finire a Joe Biden, e’ stata quella che si poneva come obbiettivo la creazione di “due Stati”, uno Israeliano e uno palestinese.
Ma sul piano strategico, l’azione diplomatica basata sulla soluzione a due Stati, che ha costituito la base formale dei piani di pace architettati dalle varie Amministrazioni americane, ad eccezione del “Peace to Prosperity”, elaborato dall’amministrazione Trump a inizio 2020, che proponeva sostanzialmente una “soluzione ad uno Stato” che eliminava i palestinesi dall’equazione, è di fatto morta con l’omicidio nel 1995 del Primo Ministro laburista Yitzhak Rabin, il fallimento degli accordi di Oslo, 1993-1995, mediati dall’amministrazione Clinton e l’ascesa al governo della destra del Likud.
Essa si scontra con i reali rapporti di forza sul campo e con l’interesse israeliano a mantenere lo status quo ricorrendo al classico divide et impera per conservare spaccato il fronte palestinese politicamente diviso tra Gaza e Ramallah e continuare le politiche di insediamento nella West Bank.
Gli Stati Uniti possono dunque limitarsi a gestire il conflitto affinchè non si trasformi in deflagrazione regionale che destabilizzerebbe il ricercato equilibrio mediorientale, in un’area scaduta a priorità secondaria nella “Great Strategy” rispetto ai teatri primari dell’Europa e dell’Indo-Pacifico.
Da più di un decennio, la questione israelo-palestinese è uscita anche dai radar delle aree di conflitto geopolitico di primario interesse nel vasto Medio Oriente. L’ascesa dell’Iran e la minaccia che rappresenta ha spostato il focus americano verso il Golfo Persico, con perno in Iraq.
La questione israelo-palestinese è passata in secondo piano anche nella scala di priorità degli Stati arabi, che considerano l’arco di influenza iraniano Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut e i movimenti islamisti rivoluzionari sponsorizzati dall’asse turco-qatarino le principali minacce alla sicurezza nazionale.
Gli accordi di Abraham si sono inseriti in queste dinamiche, ufficializzando, sotto l’egida diplomatica americana, l’informale cooperazione politica, economica, militare e di intelligence tra l’asse israeliano e quello saudita-emiratino, in chiave anti-iraniana e anti-turca, ma tralasciando le problematiche palestinesi.
Detto ciò, la guerra in atto scatenata dai terroristi di Hamas ha allontanato ancora di più una soluzione dei “due Stati”, almeno fino a quando la stessa Hamas non verrà completamente annientata. In questo caso potrebbe emergere un nuovo scenario.
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