C’è una frase, una promessa, un raggiro in questi giorni per le popolazioni afghane e non solo per loro che sento ripetere da Bergoglio a Biden, da Conte a Di Maio, dalla sinistra ai tg nostrani: non lasceremo nessuno indietro. Ma che bel proposito, ma che bravi, che anime sante e premurose. Uno lo dice e si sente con la coscienza a posto, ha fatto il suo dovere. Poi magari non è vero, o nella migliore delle ipotesi si riferisce solo a poche centinaia di persone, a gesti simbolici se non solo mediatici, mentre la tragedia riguarda milioni di persone abbandonate a se stesse.
Come si può ben capire, il problema è il contesto a cui si riferisce questa frase, il suo ambito e i suoi limiti: se si riferisce a una famiglia, un gruppo ristretto, un convoglio, un condominio o perfino un villaggio da soccorrere ha un senso preciso e fattivo. Man mano che si allarga il riferimento a masse, popoli, continenti o addirittura l’intera umanità la frase perde concretezza e acquista demagogia; si fa retorica, furbizia in malafede, genera illusione a cui segue cocente la delusione e poi la rabbia. Se per esempio si hanno risorse limitate, posti a bordo limitati, è folle distribuirli tra tutti, non aiutando nessuno. È inevitabile che quegli aiuti siano selettivi, mirati a pochi.
Demagogia
Quella frase da anime belle dipende poi a chi si rivolge, a che situazione si applica. Se non lasciare indietro nessuno si riferisce per esempio a una scolaresca, l’appello si fa problematico: una scuola deve mettere tutti nelle stesse condizioni di partenza e dare a tutti gli strumenti e le possibilità per imparare; ma si sa per esperienza, indole e natura che qualcuno andrà avanti e altri resteranno indietro. Ci sono i meriti e i demeriti, le capacità e le incapacità, le graduatorie, i promossi e i bocciati. La scuola finisce il suo compito se si ferma ad aspettare gli ultimi.
Se in una gara sportiva o in un concorso il giudice o il commissario promette che nessuno sarà lasciato indietro, c’è da internarlo d’urgenza o estrometterlo al volo dal suo compito: le competizioni si fanno proprio perché qualcuno andrà più avanti e qualcuno resterà inevitabilmente indietro. Non saremmo stati lì a festeggiare la Nazionale o gli atleti olimpionici se tutti fossero arrivati allo stesso traguardo nello stesso tempo allo stesso modo. La selezione, la meritocrazia, le medaglie e le coppe sono inevitabili, anzi sono il movente di certe gare o di certi esami, concorsi.
Progressisti umanitari
Ma l’uso più velleitario e pericoloso di quella frase è riferito ai contesti estesi e indeterminati, come fanno i progressisti umanitari. Dal reddito di cittadinanza dato a tutti perché nessuno resti indietro all’accoglienza incondizionata e illimitata perché nessun migrante resti indietro o sia respinto, fino all’utopia umanitaria suprema che nessuno al mondo resti indietro (Bergoglio: “Ricostruiamo il mondo senza lasciare indietro nessuno”). Stiamo parlando di otto miliardi di persone, ragazzi, e solo immaginare che nessuno resti indietro, o nessuno sia escluso, significa vaneggiare e proporre il peggior egualitarismo. Tanto pernicioso quanto irrealizzabile.
Avvertenza d’obbligo scontata, ma siccome i cretini acidi stanno sempre lì col fucile puntato, è bene dirlo: anche a noi piacerebbe che nessun essere umano restasse indietro almeno nei suoi bisogni primari. Lo sgomento che ci ha colpito a vedere le scene all’aeroporto di Kabul o alle ambasciate, i bambini offerti alle braccia dei militari, non può lasciare indifferenti. Ma ancora più terribile è stato vedere ad Haiti uomini disputarsi col coltello i sacchetti di riso che venivano distribuiti. Una lotta per la fame che ci fa star male perché avverti l’impotenza del fare e la superfluità del dire davanti a una scena che ci mortifica come uomini.
Talebani
È peggio ancora della paura per il regime dei talebani; è la degradazione dell’uomo ad animale costretto a uccidere e aggredire i suoi simili e magari vicini di casa solo per contendersi un po’ di cibo. Terribile. Vai a ripetere a quelle persone che nessuno resterà indietro, se hai il coraggio, se ti regge il cuore… Vallo a dire non parlando da qui, dai microfoni, dai video e dalle nostre poltrone…
Allora torno alla frase e noto che troppo male fanno le pie intenzioni quando poi non si possono realizzare o si fa poco o nulla in concreto per avviare almeno l’impresa, se non qualche gesto simbolico. Ammiro chi dice di meno e fa di più, si rimbocca le maniche, mette mano alle proprie risorse, si impegna davvero a fare qualcosa per quelle popolazioni e per chi sta male; ma quelle frasi universali sono fuffa del paradiso spruzzata all’inferno…
Utopia livellatrice
Ma poi, il problema che resta è che nessuno si può caricare sulle sue spalle i mali dell’umanità: non ce la fa, e allora o crolla insieme a loro o si limita a dire, enunciare e allora è peggio che tacere. Non possono pochi volontari caricarsi sulle spalle il peso di miliardi di uomini. Ognuno faccia la propria parte, dia il suo contributo, secondo i propri mezzi e le proprie risorse; e qualcuno magari si dedichi a farlo, con abnegazione. Ma risparmiate loro questo discorsetto o pistolotto finto evangelico, finto egualitario, finto politico, prosecuzione dell’I care degli anni scorsi.
Sappiamo che molti, tanti, troppi, resteranno indietro. E vi resteranno non solo per l’insensibilità degli uni ma anche per il velleitarismo degli altri, e per l’impossibile realizzazione di quell’utopia livellatrice che dovrebbe redistribuire beni e incombenze al mondo intero, ciascuno secondo le proprie disponibilità e a ciascuno secondo i propri bisogni (lo diceva Karl Marx e sappiamo come è andata a finire).
MV, La Verità
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