Netanyahu al Congresso: Harris assente, quasi deserti i seggi dei democratici
Washington, 24 luglio 2024
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato al Congresso americano, con un lungo discorso che ha toccato molti dei punti ribaditi dal suo governo fin dall’8 ottobre scorso, all’indomani del pogrom contro Israele che ha causato 1200 morti e il rapimento di 255 persone.
In primis, la sicurezza di Israele, in modo che non accada mai più un 7 ottobre
Ciò si traduce con la volontà di distruggere Hamas e con l’obiettivo di neutralizzare chi finanzia l’instabilità in Medio Oriente oltre, ovviamente, alla gestione di Gaza all’indomani della fine della guerra.
La presenza del premier israeliano, come era da immaginare, ha scatenato violentissime proteste, che sono sfociate in svariati arresti e scontri con le forze dell’ordine, fino al vilipendio della bandiera americana data alle fiamme, dopo essere stata staccata dall’asta di un edificio nei pressi del Congresso e sostituita con una palestinese.
Non solo vox populi ma anche accese proteste dall’interno della politica, con lo stuolo di democratici che hanno preso posizione contro Netanyahu, definito “criminale di guerra” su un cartello mostrato da Rashida Tlaib.
Cui sono seguite, più in generale, le altre accuse mosse contro Israele, come quella di genocidio del popolo palestinese – unico caso al mondo di una pulizia etnica che dura da 80 anni e che ha visto un aumento esponenziale della popolazione
Certo però che a saltare all’occhio non sono i contorni della protesta, sul cui fuoco soffia il vento della propaganda antiisraeliana – con buona pace degli indignati di fronte all’appellativo di “utili idioti dell’Iran” usato dal premier nel suo discorso.
E nemmeno il fatto che la maggior parte dei seggi democratici al Congresso fosse vuota, o i commenti della senatrice Pelosi, che ha definito il discorso del premier “il peggiore discorso al Congresso pronunciato da un leader straniero” – a cui viene voglia di rispondere con un “la verità ti fa male, lo so”. Pelosi che, tuttavia, ha salvato capra e cavoli incontrando le famiglie degli ostaggi in separata sede.
No. Il grande colpo di scena è stata l’assenza della vicepresidente Kamala Harris
Sebbene alcuni giorni fa avesse dichiarato che nel suo incontro previsto con Netanyahu avrebbe ribadito la sua posizione al fianco di Israele, garantendo, tra le altre cose, il suo impegno affinché lo stato ebraico “possa difendersi dalle minacce dell’Iran e dalle milizie da questo sostenute”, Harris ha disertato l’intervento di Bibi.
La sua assenza, pesante come un macigno, è stata giustificata dal portavoce del Dipartimento di Stato Miller, il quale ha fatto sapere che la vicepresidente doveva presenziare a un altro incontro in quel di Indianapolis, organizzato in precedenza.
Copia e incolla di quanto fece lo stesso Biden dieci anni fa, con il discorso tenuto da Netanyahu al Congresso nel 2015.
È stato un modo per prendere le distanze dalla politica più o meno a favore di Israele abbracciata da Biden?
Dobbiamo leggere tra le righe un tentativo per rinsaldare l’elettorato intorno al partito democratico?
Si fa abbastanza fatica a non cedere alla malizia di pensare che azioni e parole, in questo caso, non sono propriamente andate di pari passo.
In tutto questo mare magnum di “coperte corte”, il viaggio di Netanyahu negli States non si ferma
In agenda, l’incontro con Joe Biden e con la stessa Harris il 25 luglio, cui seguirà quello con Donald Trump che, se non altro, ha avuto il merito di aver gestito la questione medio orientale meglio di molti dei suoi predecessori.
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