Suicidio – Non cercate l’assassino di Orlando Merenda, il ragazzo gay torinese che si è tolto la vita. Non cercate l’assassino di Said Visin, il calciatore dalla pelle scura che si è ucciso a Milano. Un suicidio non è un omicidio delegato o collettivo, non ha un killer, un mandante e non è nemmeno colpa della società. Altrimenti quasi tutti i suicidi hanno un sicario, salvo chi si uccide perché è un malato terminale o sofferente. Chi si ammazza per l’amore deluso o tradito, è stato ucciso da colui o da colei che lo ha lasciato? Chi si suicida perché è stato licenziato è stato ucciso da chi lo ha licenziato? E chi si suicida perché la sua impresa ha chiuso, è stato ucciso da chi ha determinato la situazione di crisi?
Quanti suicidi nascono a causa di chi ha instillato in un ragazzo la convinzione che puoi avere tutto quel che desideri, che i sogni sono realtà, che non ci sono limiti né confini, che la felicità è a portata di mano, di clic, di trasgressione, di vestito e di polvere. Quanti suicidi nascono da istigazione a sentirsi dei, mitici, eccezionali, e soprattutto liberi, senza freni senza inibizioni. Dovremmo dunque spiccare un mandato d’arresto contro i cattivi maestri?
Suicidio: sono quattromila l’anno
Più di dieci persone al giorno, in Italia, si tolgono la vita, soprattutto al nord. Una media di quattromila all’anno, anche se a volte i suicidi sono mascherati o negati, per pietà, per riserbo, per salvare le apparenze, la famiglia o l’anima di chi si è suicidato. Per i ragazzi il suicidio è la seconda ragione di morte; la prima sono gli incidenti dovuti a velocità, alcol e droga; cioè per la patologia dell’illimitato, per la libertà senza freni, senza misura.
L’Europa è il continente in cui ci sono più suicidi al mondo, soprattutto nel nord. C’è un nesso tra sole e depressione, tra oscurità e malinconia, suggeriscono pure le statistiche, oltre che gli psicologi e perfino i virologi; e i giovani che vivono più di notte che di giorno anche per questo sono perciò più esposti. Ma la causa principale dei suicidi, si sa, non è climatica, non è colpa del sole o della pioggia: è la loro fragilità, la forbice tragica tra aspettative e realtà, tra desideri e risultati, tra narrazione e situazione autentica.
Ma è anche per l’assenza di figure, motivazioni e punti saldi di riferimento, l’abbandono o la perdita degli affetti principali, lo smarrimento del confine tra la realtà e la percezione, tra il reale e il virtuale, tra ciò che immagini o ti fanno immaginare e ciò che è davvero nella vita. E per l’inattitudine al sacrificio, il mancato confronto con i bisogni primari, la fame, la sete, la miseria nera; il benessere ci rende più fragili e meno vitali. La comodità spegne la vita, accarezzandola.
Non è possibile assistere ogni volta che un ragazzo si suicida alla caccia all’assassino ideologico e alla trasfigurazione del suicida in martire e vittima di qualcuno o di ciascuno: l’episodio, il messaggio, il whatsapp, il filmino in cui qualcuno lo ha deriso, insidiato o insultato perché nero, gay, ragazza. Chi si uccide quasi mai si uccide per così poco; c’è sempre un movente cupo e profondo, l’episodio sgradevole o amaro di uno sconosciuto o di un conoscente non è mai la fine del mondo. Intendiamoci, in casi limite può capitare che sia un episodio del genere la causa scatenante, ma non si può ridurre la vita, e ogni vita negata, a quel triste schemino.
La depressione ha radici più lunghe, più oscure e più ramificate; nessuno è così inconsistente e superficiale da uccidersi per una battuta o per un apprezzamento sentito al passaggio. E se scavate tra i ragazzi omosessuali che si sono suicidati, e cercate un nesso con il loro orientamento sessuale, troverete tormenti meno banali e superficiali di un episodio di bullismo: risalgono alla loro identità tormentata, alla difficoltà di vivere le loro contraddizioni, una volontà divisa tra voglia di famiglia, di “normalità” e richiamo sessuale o erotico in altra direzione. Il problema risale alla propria condizione umana e non semplicemente al teatrino dei social, agli spogliatoi di una palestra o agli aperitivi al bar; è un problema che risale alla propria vita e alle sue lacerazioni e non si risolve additando un colpevole, magari di passaggio. O a norma di legge.
Abbiate più rispetto per i loro drammi, per la loro personalità, per la loro storia e per il loro tragico gesto; non si risolve scaricando la colpa su uno, magari ottuso, o su un piccolo fatto; o facendo una legge ad hoc che punisce ogni opinione, giudizio e sguardo gettato sugli omosessuali. Una persona è un intreccio di piani, di affetti e mancanze, di ricordi e rimpianti, di paragoni e di vite mancate, subite o deviate. Ha una storia interiore e una esteriore, ed è vero, in media, che gli omosessuali hanno una sensibilità più acuta o più acuita dalla loro diversità, che sono i primi ad avvertire, più degli altri che sono intorno. Non siamo marionette trafitte dalla prima marionetta che ci sfiora con la sua lingua o le sue mani.
“Il gesto estremo di Said non deriva da episodi di razzismo”, furono costretti a precisare i genitori del ragazzo “per mettere fine alla strumentalizzazione”. Un genitore sa o magari intuisce quanti drammi, quanta fragilità, quante dolorose velleità e quanti abissi di depressione attraversano suo figlio. E se non lo sa, allora probabilmente il mancato rapporto di loro con lui rientra tra le cause del suo gesto terribile e insano.
Insomma, capisco una madre che cerca colpevoli, o cattivi compagni che hanno traviato il loro figlio; ma non può il Tribunale Permanente dei Media subito aprire la caccia per trovare il mandante dell’assassinio. So che voi in gran parte non ci credete, ma il killer, il mandante, è dentro quell’involucro misterioso che un tempo si chiamava anima, e che oscura la mente, incrina il cuore e arma la mano per il gesto mortale. Abbiate pietà di lui e di chi lo piange, anziché cercare vendetta e spargere odio intorno.
MV, La Verità
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