A perdere la vita sono ragazzi, giovani e giovanissimi, ma anche adulti, quasi sempre con origine straniera. Fra le ultime tragedie in ordine di tempo c’è la morte dei due fratelli pachistani di 16 e 17 anni, annegati nel tardo pomeriggio di venerdì 16 agosto a Tavernola Bergamasca, ma anche la scomparsa del 22enne peruviano inghiottito dal fiume Adda il 20 agosto. Inoltre, sono molti i malori in acqua che si sono rivelati fatali, come nel caso del 41enne egiziano, morto davanti al figlio nel fiume Adda a Ferragosto, ma anche del 16enne di origine brasiliana che sabato 27 luglio si era tuffato nel lago d’Iseo per recuperare il pallone ma non è più riuscito a tornare a riva.
Ogni caso è drammaticamente diverso per le circostanze in cui si verifica, ma possono esserci cause comuni?
È facile pensare che non sappiano nuotare bene e non conoscano la conformazione del letto del fiume o del fondale del lago, quindi non siano pienamente consapevoli dei rischi in cui possono incorrere e di quali siano le zone più pericolose.
Sono tutte possibili cause, ma c’è un’altra motivazione: non avendo familiarità con bacini lacustri e fluviali molti non sanno che in acqua bisogna nuotare. A spiegarlo è Roberto Zanotti, direttore della sezione provinciale della Società Nazionale di Salvamento: “Molti stranieri non hanno mai visto un fiume, un lago e il mare, o almeno non ci hanno mai messo piede perchè nel loro Paese di provenienza non esistono, quindi non hanno idea di dover nuotare per non annegare. La presenza di acqua fredda e la superficie melmosa sono con-cause, ma il problema principale è non saper stare a galla e come muoversi senza rischiare la vita.
Molti, in sostanza, non avendo mai vissuto laghi e fiumi e vedendo che la gente attorno a loro si mjuove in modo naturale in acqua, sono convinti che basti entrare: non sanno che chi va in acqua sa nuotare e che quindi la naturalezza è data da questa capacità.
“Oltre a queste motivazioni di natura geografica – prosegue Zanotti – ci sono ragioni culturali ed economiche, perché magari non sono abituati a vivere gli ambienti acquatici o non possono permettersi di frequentare corsi di nuoto. Abbiamo soccorso soprattutto persone originarie del Pakistan e dell’India, ma anche dell’America Latina, specialmente di alcuni territori andini, Perù, Bolivia e Colombia, con tutte le eccezioni del caso. Bisognerebbe insegnare non tanto il nuoto in senso agonistico (che possono approfondire successivamente) ma quelle abilità che consentono di garantirsi la sopravvivenza in acqua. Collaborando con varie scuole abbiamo sviluppato progetti per dare ai bambini le nozioni principali, però i ragazzi più grandi e gli adulti rimangono scoperti se non si promuovono proposte ad-hoc”.
La Società di Salvamento sin dalle sue origini, che risalgono al 1876 a Genova, è operativa per avere più sicurezza in acqua. Il direttore Zanotti sottolinea: “Da tempo siamo impegnati a sensibilizzare le istituzioni e gli enti competenti a seconda del territorio di riferimento. In questi giorni insieme ai miei collaboratori ho chiesto alcuni incontri con l’autorità di bacino per il Sebino, il lago di Endine, il lago d’Iseo e il lago Moro, con cui ci eravamo già confrontati: andrebbe istituito un tavolo per affrontare il problema in modo più organico. Ogni anno ci sono morti, spesso extracomunitari, e frequentemente perde la vita anche chi cerca di trarli in salvo: non sono casi isolati ed è fondamentale fare prevenzione. Noi ci occupiamo della formazione e diamo la possibilità a chiunque lo desideri di realizzare progetti legati alla sicurezza fluviale, lacustre o marina. Buona parte delle coste è presidiata dai bagnini della nostra associazione o della Federazione Italiana Nuoto. Ci sono ancora zone, però, in cui questo servizio ancora non c’è: per esempio al lido Nettuno, bellissimo, tra Sarnico e Predore, dove viene eseguito il controllo della Guardia costiera ausiliaria, di cui sono vicepresidente, ma bisognerebbe organizzare una presenza costante dei bagnini. Sarebbe necessaria la sorveglianza come avviene per esempio al lago di Garda o in alcune zone del lago di Como: è essenziale almeno nelle aree più critiche, dove è risaputo che la gente si reca a fare il bagno. Rappresenterebbe il miglior antidoto contro le disgrazie: è provato che dove ci sono i bagnini cala drasticamente la mortalità per annegamento. Il loro pronto intervento spesso si rivela decisivo anche quando si verificano dei malori in acqua, perchè nel bagaglio del buon soccorritore c’è l’utilizzo del defibrillatore che può salvare la vita”.
Il rischio di annegare non riguarda solo fiumi e laghi. Un bagnino bergamasco afferma: “In piscina ho soccorso diverse persone: non mi capita spesso ma tutti quelli che ho salvato sono stranieri, generalmente indiani, pachistani, rumeni e russi. In Italia c’è una cultura dell’acqua più radicata: andare al mare, in piscina o iscriversi a un corso di nuoto sono pratiche diffuse, mentre loro hanno meno familiarità con tutto questo, anche se non bisogna generalizzare. Spesso sono convinti di saper nuotare ma non sono del tutto consapevoli del pericolo: ci sono adulti che si tuffano e poi si trovano in difficoltà perché pensano che la vasca non sia così profonda, invece anche il nuotatore più esperto deve sempre stare attento”.
Paolo Ghisleni www.bergamonews.it