Occidente senza fine

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Dell’occidente e del suo destino hanno scritto fior di intellettuali. Oriana Fallaci in “Sveglia Occidente” esortò a interrogarsi su cosa stava accadendo intorno a noi. Oswald Spengler non andò per il sottile parlando di “Tramonto dell’Occidente”. Anche Rampini scrisse che il processo alla storia ed ai valori dell’Occidente era il preludio al suo suicidio. Poi semplificando attribuì all’Occidente il principio di individualità ed all’Oriente quello di collettività. Niall Ferguson ci ha deliziato sui fattori di ascesa e crisi di una civiltà attribuendo alla superiorità dell’Occidente (ma allora la crisi dove è ?) la scienza, la democrazia, la medicina, la concorrenza, il consumismo e l’etica lavorativa. In genere l’approccio è di tipo apocalittico sulla scia di una vecchia influenza marxista riconducibile alla idea di fine del capitalismo.

È ancora difficile assimilare alla forma economica del capitalismo il carattere di capacità automodificante per effetto di una duplice e reciproca influenza tra struttura economica e sovrastruttura ideologica, idee e realtà. Eppure anche Dante si era accorto che sotto la spinta dei ceti “dediti ai subiti guadagni” le “cocolle sacche si riempivano di farina ria” e “il maledetto fiore” prendeva il sopravvento.

Trasformazioni in perenne divenire

Insomma una vera Odissea. Alla domanda “chi siamo” si può rispondere che siamo quello che siamo diventati, al “dove andiamo” è difficile rispondere, al “ da dove veniamo” è tutto più definito. Se il Telos (destino/scopo) rimane un mistero, il Nostos (memoria) è la chiave della nostra esistenza.

Poiché le opere intestate ad Omero sono comunemente riconosciute come la radice della civiltà occidentale (G.B.Vico, Bruno Snell) quel lavoro frutto di una lunga manipolazione intellettuale (da metà del 500 al 150) contiene i germi della nostra evoluzione civile. Evoluzione e arretramenti sono parimenti spinte dialettiche al mutamento di una civiltà che è nata nel crogiolo di contraddizioni che ha continuato, continua e continuerà a portarsi dietro.

Nacque come mescolanza di dialetti e popolazioni e al tempo stesso come alterità (la presunta guerra di Troia fu un passaggio necessario alla affermazione della propria identità ellenica). E poi il Logos, il Demos, il Nomos (diritto) di cui non vi è traccia nell’Iliade ma che permeano l’agire comunicativo dell’eroe odisseo.

Tra Achille e Ulisse e tra Ulisse e Polifemo si delineano i primi tratti di una passaggio  tra primitivismo e arcaicità ed una continua tensione tra Essere e Non Essere, Essere e Divenire fino a mettere in discussione il rapporto Essere e Tempo in Heidegger. Mentre l’Oriente intimistico, libero dalle complessità del Logos e più affascinato dal Manas (psiche), si dilata con lentezza entro i confini della Armonia (la compresente compatibilità di elementi contrapposti) nel nostro mondo ci si crogiola nella convinzione di una superba superiorità, retorica e conquistatrice, salvo accorgerci che c’è del buio dentro di noi.

Buio e luce sono complementari anche se la nostra razionalità vorrebbe solo luminosità. Qui bisognerebbe ricordare che solo la Luce produce le sue ombre.

 

 

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