Omicidio Pamela: la bestia nigeriana “iniziò a fare a pezzi Pamela da viva”

“Desmond Lucky se ne andò, Oseghale tentò di rianimarla con acqua sulla faccia per farla riprendere, lei si riprese. Oseghale l’ha spogliata, era sveglia” ma aveva “gli occhi girati all’insù” e “hanno avuto un rapporto sessuale completo”. Poi la “ragazza voleva andare via a casa a Roma perché aveva il treno, disse che se no l’avrebbe denunciato. Ebbero una colluttazione, si sono spinti, Oseghale le diede una coltellata all’altezza del fegato e dopo una prima coltellata Pamela cadde a terra”. E’ il racconto del pentito Vincenzo Marino, ascoltato come supertestimone dell’accusa nella seconda udienza del processo davanti alla Corte di Assise di Macerata per la morte di Pamela Mastropietro. Marino riporta le confidenze raccolte in carcere da Oseghale, il nigeriano imputato e accusato di aver ucciso e fatto a pezzi la 18enne romana, quando ad Ascoli furono detenuti insieme per un breve periodo.

Pensando che dopo averla accoltellata Pamela fosse morta, Oseghale mi raccontò che andò ai giardini Diaz per chiedere, invano, l’aiuto a un connazionale poi “tornò a casa, convinto che la ragazza fosse morta e la squartò iniziando dal piede. La ragazza iniziò a muoversi e lamentarsi e gli diede una seconda coltellata”, afferma ancora il pentito che racconta l’incontro in carcere il presunto assassino : “L’8 luglio – afferma Marino spiegando che lui e Oseghale erano detenuti a circa quattro metri di distanza – uscii dalla mia cella e vidi Oseghale di fronte alla sua cella. Gli dissi – racconta il pentito – ‘Cornuto, pezzo di m…., che facesti?”. In carcere “lo chiamavano macellaio – continua – gli ho lanciato una bottiglia”. Poi, ha continuato il pentito, fummo divisi e secondo la sua ricostruzione fu stabilito per loro due il divieto di incontro, ma, nonostante ciò, continuarono a incontrarsi.
 
 
Un altro detenuto, giorni dopo, “venne a dirmi che Oseghale voleva chiarirsi, che si voleva riappacificare”, ha continuato il teste spiegando che il nigeriano “parlava italiano”. “Mi chiamava ‘zio’”, ha aggiunto spiegando che in carcere “zio è una persona che merita rispetto nei confronti di altri detenuti”.  

“Sono andati a comprare una siringa e sono andati a casa, Oseghale, Desmond Lucky, la ragazza per consumare un rapporto a tre” perché “Desmond Lucky e Oseghale volevano stare con la ragazza”, afferma ancora Marino affermando che “inizialmente mi disse che” con l’omicidio “non c’entrava lui, ma altre persone”, Oseghale “mi raccontò che la ragazza si era fatta di roba, Desmond si avvicinò per approcciarla e la ragazza lo respinse, Desmond Lucky gli diede uno schiaffo e la ragazza cadde a terra e svenne. Poi Desmond Lucky se ne andò”, continua. Quanto a eventuali complici, il pentito sottolinea: “Non fece il nome di nessuno”.

Dopo averla fatta a pezzi “l’aveva lavata con la varechina perché così non si sarebbe saputo se era morta di overdose o assassinata“, ha continuato Marino affermando ancora che Oseghale gli “disse che aveva un sacco in frigo dove mettere i pezzi, ma che non ci andavano e che l’ha dovuta tagliare e l’ha messa in due valigie”. Chiamò un taxi, ma mentre era in auto “la moglie lo chiamava ed è andato nel panico”, ha proseguito il pentito rispondendo, a una domanda su Oseghale e i presunti rapporti con la mafia nigeriana, che l’uomo gli “disse che era uno dei referenti dei nigeriani a Macerata, al livello sia di prostituzione che di stupefacenti”. Disse che “faceva riferimento a Padova e Castel Volturno”, ha aggiunto.

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