OPEN: TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO
Duro colpo per la Procura di Firenze e in particolare per i PM Nastasi e Turco che vedono sfumare completamente l’inchiesta da loro portata avanti con una inusitata pervicacia da ormai più di cinque anni contro Renzi, Lotti, Boschi, Carrai e altri per il cosiddetto caso OPEN.
Ieri il GUP Sara Farini ha dichiarato il non luogo a procedere per tutti e dieci gli imputati, vanificando totalmente l’impianto accusatorio della Procura, rea peraltro di aver violato l’art. 68 della Costituzione mediante attività investigativa illegittima (sequestro di email, messaggi privati e l’estratto conto del Senatore di Rignano, senza autorizzazione della Camera di appartenenza)
È bene precisare che non si tratta della vecchia immunità parlamentare, ma dell’obbligo di ottenere l’autorizzazione di Camera o Senato per l’esercizio di alcune attività ben determinate e che si svolgono in procedimenti penali nei quali sono coinvolti i rappresentanti della Nazione.
Una norma posta a tutela dell’attività parlamentare del singolo deputato o senatore che non può subire pressioni politiche mediante inchieste giudiziarie. Una norma di libertà che in ogni democrazia liberale sarebbe sacrosanta e che qui in Italia, invece ha sempre costituito un pomo della discordia.
Quel che è certo è che tuttavia, contrariamente a quanto sostengono i giustizialisti “de noantri” tale violazione non costituisce certo un cavillo, ma una vera e propria violazione di legge che grida vendetta (giuridica, s’intende)
Occorre ricordare – visto che evidentemente ve ne è bisogno – che Il Magistrato non è legibus solutus, cioè non può condurre la propria azione senza rispettare le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano la conformità ai principi dello Stato democratico di diritto.
Ciò vale a maggior ragione nell’ambito del processo penale, dove in gioco è il bene supremo della libertà personale che può essere coartata solo in presenza di determinate condizioni e sotto il rispetto di precise regole.
Senza regole qualsiasi potere esonda. Il fatto che si abbia ben chiaro questo quando il potere è politico, mentre invece le nebbie della coerenza si diffondano quando invece il potere è giudiziario, dà il senso dell’Analfabetismo funzionale che grava questo Paese soprattutto in determinate materie
I magistrati di Firenze hanno violato clamorosamente questo principio e quindi il “non luogo a procedere” pronunciato dopo due anni di udienza preliminare ne è logica conseguenza oltre che balsamo per chi crede nel garantismo processuale. Quindi, niente di cui doversi sorprendere (sarebbe stato tragico il contrario) né tantomeno niente per cui gridare allo scandalo!
Gli elementi di prova, quelli legittimamente raccolti, per il Giudice Farini non sono in grado di fondare una prognosi di colpevolezza e quindi, il processo non si deve fare
La richiesta di rinvio a giudizio cade nel vuoto (salvo eventuale opposizione della Procura) e finisce – per ora – un calvario durato cinque anni e che ha comportato enormi sacrifici in termini di immagine e salute per gli imputati.
La vicenda era nata nel Novembre 2019 quando i PM Nastasi e Turco avevano aperto un fascicolo ipotizzando i reati di traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti, a causa della plusvalenza di 700 mila euro realizzata da un imprenditore con la cessione di una società del gruppo Toto che, ipotizzavano i PM, fosse uno specchietto per le allodole per finanziare Open.
Approfondendo i legami tra il suddetto gruppo e Matteo Renzi e gli altri imputati, i PM avevano dedotto che parte di questa somma fosse stata deviata proprio verso la Fondazione Open (oltre che al Comitato per la riforma costituzionale promossa proprio dal leader di Italia Viva quando era segretario del PD) per finanziarne l’attività politica
Da lì, perquisizioni, sequestri e quant’altro finalizzate a dimostrare che la Fondazione agiva non in proprio ma come una vera e propria articolazione politica. Ne discendeva, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, che finanziare Open in tal modo veniva a coincidere con finanziare (illegittimamente) un partito.
Tesi che tuttavia mai si è dimostrata troppo solida, come sia la Corte di Cassazione sia la Corte Costituzionale hanno avuto modo di chiarire in questi anni
L’inchiesta, in particolar modo, non è mai stata in grado di provare che l’attività della Fondazione Open esondasse rispetto all’ordinaria attività consentita dalla Legge 149/2013 che allora era in vigore. La Corte Costituzionale che dato la mazzata finale ribadendo come gran parte del materiale probatorio raccolto dalla Procura non avrebbe potuto essere utilizzato in un dibattimento. Insomma, si capiva da lontano che fine avrebbe fatto questa inchiesta. E, infatti, puntualmente, è finita in una bolla di sapone.
Eppure, malgrado queste evidenti avvisaglie, la Procura è andata avanti imperterrita, suscitando più di un dubbio non solo negli esperti del settore
Qualcuno voleva colpire Renzi dal punto di vista politico? Domanda più che legittima. Oggi si tenta di dire che il non luogo a procedere sia giunto solo perché lo stesso Renzi è tornato nell’alveo del centro sinistra. Ipotesi possibile, senz’altro, ma che non fa che confermare l’inquietante dubbio che aleggia intorno alle vicende giudiziarie che hanno avuto come indagati/imputati i politici.
Quanto la magistratura è libera da condizionamenti?
Quanto è legata a una certa parte politica? Quanto le inchieste vengono usate a fini diversi da quelle per cui dovrebbero nascere?
Tutte domande che probabilmente non troveranno mai una risposta definitiva anche se pare che l’esperienza empirica si imponga con la forza dell’autoevidenza.
L’interesse pubblico rappresentato dai Pubblici Ministeri dovrebbe prevalere sull’odio privato (senza arrivar a ipotizzare mandanti esterni all’azione dei magistrati che invece costituirebbe un’ipotesi ben più grave e preoccupante) e saggezza dovrebbe indurre ad abbandonare inchieste farlocche che peraltro, costano ai contribuenti più di un obolo. Quando questo non accade, è tutto il sistema giustizia che ne soffre perdendo drammaticamente di credibilità.
Cosa che è accaduta con questo processo e cosa che rischia di ripetersi con il Processo Open Arms, a carico di Matteo Salvini
Naturalmente soddisfatti Renzi, Boschi, Lotti, Carrai e gli altri imputati che dopo anni e anni di fango si vedono prosciolti integralmente. Ma sulla soddisfazione prevale la rabbia verso un sistema che ha “maciullato le famiglie” , la reputazione e la serenità, tutti beni che non potranno assolutamente essere restituiti.
Né gli imputati possono trovar giovamento nella speranza di conseguenze quantomeno disciplinari per i magistrati inquirenti, dal momento che il principale accusatore Luca Turco, se ne andrà in pensione tra poco e che ad oggi non esiste ancora nel nostro ordinamento una seria disciplina sulla responsabilità civile del magistrato (quella che c’è fa ridere!).
Ma a ben vedere, di questa vicenda incresciosa due sono i punti che – al netto di ogni altra considerazione – meritano di essere riportati
Il primo è il quasi scontro fisico avuto dall’ex premier con il PM Turco allorché Matteo Renzi ebbe a dire esplicitamente a Turco “io di lei non mi fido” e il PM rispose “ fa bene a non fidarsi”. Ora, come può un magistrato ostentare chiaramente la propria ostilità nei confronti di un imputato, confermandogli i dubbi espressi sul “proprio giudice naturale stabilito per legge”?
Il principio della fiducia nell’Autorità dovrebbe essere un caposaldo nel rapporto tra il cittadino e lo Stato, soprattutto quando in ballo c’è la libertà personale
Nel rispetto dei ruoli, la presunzione di buona fede anche della parte (processualmente) avversaria dovrebbe essere il minimo sindacale per la fisiologia della dinamica processuale.
E invece spostando il piano dello scontro sul personale, e sconfessando tale principio, si mina alla base la fiducia nel cittadino nella Giustizia tout court, mettendo in grave discussione lo Stato di Diritto.
Se il PM non agisce in funzione dell’interesse pubblico che rappresenta, ma invita esplicitamente a non fidarsi del ruolo che ricopre, il problema è grave e si trasla su un piano inclinato pericoloso per la stessa democrazia liberale
Il secondo punto è il fatto che il magistrato inquirente non procedette, come dovuto per legge, alla distruzione del materiale probatorio dichiarato illegittimo dalla corte di Cassazione, ma lo inviò al Parlamento rendendolo di fatto pubblico e quindi utilizzabile in chiave denigratoria nei confronti degli imputati.
E questo apre, al di là del singolo caso, la questione del potere assoluto di cui godono i magistrati, unica casta realmente irresponsabile (nel senso etimologico di non dover rispondere a nessuno), libera dunque di esercitare il suddetto potere per finalità non sempre trasparenti.
È dunque un vulnus nel sistema democratico che tracima i confini dell’indipendenza e terzietà per sfociare nella dittatura dell’anarchia giudiziaria che ci portiamo appresso da almeno 30 anni
Insomma, si configura in tal modo una sorta di Sovrano Assoluto capace di incidere sui diritti fondamentali dell’essere umano che rimanda a periodi storici in cui le funzioni politiche e quelle giudiziarie erano assommate nella medesima persona. Ebbene, quanto è democratico un ordinamento che consente a un solo soggetto, che non gode di alcuna legittimazione popolare, di disporre a proprio piacimento dei diritti fondamentali della persona umana, senza dover rispondere in caso di errore?
Questioni serie dalle importantissime ricadute sul piano concreto e di cui l’attuale Governo dovrà assolutamente farsi carico
La riforma della Giustizia deve essere portata avanti non per punire questo o quel magistrato (ci mancherebbe altro!!) ma per porre fine a una dittatura delle Procure con il loro tremendo potere condizionante della vita pubblica e riportare in equilibrio un sistema che ad oggi è gravemente sbilanciato.
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