La cultura popolare sta scomparendo, con la nostra complicità.
Pochi giorni fa è andato in scena il Palio di Siena. Uno straordinario, dedicato al centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. Che c’è di male? Verrebbe da chiedersi. Anzi, una lodevole iniziativa per aiutare le stanche casse del comune senese dopo qualche periodo di difficoltà (!) di MPS.
Però, come spesso accade, l’imponderabile è sempre dietro l’angolo. Ed ecco che un cavallo si fa male. Molto male. Raol, il cavallo della contrada della Giraffa è infatti morto per i gravi danni riportati dopo la caduta. È morto in una clinica veterinaria di prima categoria. Come per magia escono fuori i nazi-animalisti: subito scattati col cilicio in mano per metterlo non sulle loro nude carni, ma su quelle di tutti gli altri. L’occasione era troppo ghiotta.
Io non sono senese e non conosco a fondo il Palio, ma so che i cavalli a Siena vengono venerati come divinità. Nessun contradaiolo si sognerebbe mai di far soffrire un cavallo. Purtroppo gli incidenti sono nell’ordine naturale delle cose e dispiace sempre dover narrare della morte di una bestia innocente.
Il vero problema sta invece nel voler cercare di annientare le tradizioni popolari che sono proprie di ogni città di quel paese meraviglioso che è l’Italia.
A Siena il Palio vive sempre i problemi degli animalisti del IV Reich, a Firenze il Calcio Storico ormai è ridotto ad una manifestazione per turisti in gita. E mi racco-
mando piano coi cazzotti che la gente si impressiona.
In questo periodo dove si preferisce un hamburger al panino col lampredotto, dove meglio il kebab che pane e panelle, dove si getta la spuma per bere la coca, non si può che assistere passivamente al declino delle tradizioni popolari.
Del resto è molto più trend farsi un selfie davanti al nuovo Apple Store, invece che il vecchio autoscatto sul Ponte Vecchio. È una questione di location.