L’insegnamento del giorno dopo
Quando ricorrono anniversari come quello della strage di via d’Amelio si corre il rischio di considerarli distrattamente, magari uno fra i tanti che evocano momenti bui e sanguinosi della storia del nostro paese, momenti purtroppo numerosi che hanno segnato la vita di chi ha una coscienza civile e sociale come il rintocco di un orologio, con frequenza inimmaginabile.
Da ragazzo pensi che la guerra, le stragi, gli omicidi etc. appartengano al passato, che davanti a te si stia per dischiudere un avvenire di serenità e ricchezza, di benessere e armonia..in poche parole un futuro di pace e prosperità.
Sei portato per istinto a credere che tutto il male del mondo sia alle spalle, che la vita non possa che riservare sorprese e momenti felici, nel privato così come – appena inizi a comprendere che l’esistenza si apre a dinamiche più complesse perché organizzate su più livelli – nella comunità sociale. Quella che chiamiamo società.
Poi, di colpo, accadono avvenimenti che ti fanno mutare prospettiva, fatti eclatanti da cui apprendi che il male è un paradigma fisiologico nel percorso dell’umanità.
Ecco, da qui origina la consapevolezza che da un lato il male è ineliminabile alla radice, dall’altro ci sono cittadini come Paolo Borsellino che non sono eroi, né probabilmente tali si sentono o si sono sentiti, bensì servitori dello Stato, operatori del bene comune, senza per questo assumere atteggiamenti moralistici né avere altra guida se non quella della legge e del tentativo di farla rispettare.
Se, come alcune ricostruzioni e diverse testimonianze chiariscono, i vari processi su Via d’Amelio sono stati al centro del “più grande depistaggio della storia d’Italia” (secondo i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta)..
Se l’input di eliminare Borsellino – all’epoca Procuratore Aggiunto a Palermo – fu dato alla malavita da ambiti deviati dello Stato dietro ordine di interessi superiori non meglio specificati (per trasparenza, chi scrive non crede alla trattativa Stato-Mafia per come è stata dipinta)..
Se lo stesso giudice affermava che “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri“..
Se l’incertezza circa gli esiti processuali si confonde all’amara consapevolezza del ‘nemico dentro casa’..
Cosa resta di quei giorni così drammatici?
Cosa di quegli agenti di polizia che sacrificarono la vita insieme alla personalità che intendevano proteggere?
Cosa dei lunghi anni di indagini, battaglie, sospetti, tradimenti, impegno, passione che hanno caratterizzato la vita di Paolo Borsellino?
Il fatto che fosse un uomo rigoroso, acuto, determinato, appassionato, impegnato nella sua funzione di magistrato e, prima ancora, di cittadino.
Il fatto che fosse uno di noi.
Il giorno dopo la ricorrenza rimane l’insegnamento del non arrendersi, del non piegarsi, dell’impresa rivoluzionaria compiuta giorno per giorno, fino alla fine: rendere normale una cosa apparentemente straordinaria come la battaglia per la giustizia.
Possiamo indirizzare la nostra società su questa strada?