Il Partito Comunista Italiano, cosa direbbe oggi? Che si trattasse di Berlinguer, Pajetta, Amendola, Longo non ha molta importanza. Ma sicuramente ha importanza il fatto che nessuno degli autorevoli membri della leadership comunista del passato avrebbe apprezzato il PD di oggi.
Credo in fondo neppure i leader democratico cristiani di ieri, più tolleranti ed indefiniti come ad esempio Aldo Moro, ne avrebbero una grossa considerazione. Ed il motivo è molto più semplice di quello che si creda. Non risiede nei programmi, nella classe parlamentare o nella segreteria.
Il partito democratico non è un vero partito politico. Più che un vero partito, vista la mancata amalgama e l’eterogeneità delle componenti, potrebbe essere definito una coalizione interna ad coalizione di centrosinistra, più che un vero e proprio partito.Le correnti sono molto più forti delle segreterie, nazionali e territoriali. Ma di per sé questo non sarebbe né il primo né l’ultimo caso in partiti anche ben strutturati.
Il problema risiede proprio nel fatto che l’inconsistenza politica porta costantemente alla non autorevolezza della struttura partito, rispetto a correnti ben organizzate e determinanti. Praticamente le segreterie non sono condizionate dalle correnti, ma bensì sono controllate da queste ultime. E questo è paradossale perché il partito comunista, che ne dovrebbe essere l’antenato politico principale, era il partito più strutturato.
Dove sì, c’erano posizioni differenti all’interno. Ad esempio sul nucleare del quale grande sponsor era Giorgio Napolitano. Però si prendeva, magari anche grazie a maggioranze esigue, una posizione ufficiale che diventava quella del partito, che nessuno avrebbe contestato esternamente.
È fresco invece il ricordo di un PD il cui segretario, ed in quel momento Presidente del Consiglio dei Ministri, davanti alla campagna referendaria, mandava avanti la campagna per il SÌ alla riforma costituzionale, e grossa parte dei circoli portava avanti la campagna referendaria per il NO.
La svolta della Bolognina non viene ancora accettata
Il problema di questa divisione lo si potrebbe ricercare alla nascita del Partito Democratico. Dove grossa parte della dirigenza e della base, che derivava da esperienze di sinistra in maggioranza del Partito Comunista, non ha mai digerito veramente la fusione con esperienze centriste. Molti ancora non avevano accettato pienamente la svolta della Bolognina.
Probabilmente anche dal fatto che l’adesione di importanti leader socialisti, che avrebbero rappresentato un prezioso elemento di sintesi, tra la parte più di sinistra e la parte cattolica, non fu tra le più felici. I veri socialisti non dimenticarono, e non dimenticano oggi, che i peggiori nemici di Bettino Craxi, i suoi aguzzini più severi venivano dalle fila dei comunisti.
E quasi nessun esponente storico della prima repubblica gradì Antonio Di Pietro e l’alleanza da Walter Veltroni nel 2008 solo con lui.
Un segretario che ambiva ad avvicinare il centro, ebbe l’effetto inverso proponendo un personaggio che era visto come fumo negli occhi da quasi tutti gli esponenti più autorevoli della tradizione democristiana. Un vero suicidio politico politico è stata la scellerata scelta di introdurre il sistema delle primarie, talvolta persino aperte anche ai non iscritti.
Scimmiottare l’America senza averne la cultura politica
Si è voluto impiantare un meccanismo americano, senza impiantare al contempo la serietà che la stragrande maggioranza degli Stati Americani a tale strumento. Dove gli elettori si registrano già come democratici e repubblicani.
Ed inoltre si è data la possibilità ad elementi esterni di condizionale le segreterie, andando ad alterare quel ruolo importante che hanno gli iscritti, la base, che devono essere necessariamente il vero ed unico corpo elettorale dei partiti.
Una costituzione come la nostra si è preoccupata di disciplinare l’esistenza dei partiti. Proprio perché il parlamentarismo è una forma di governo improponibile senza partiti strutturati. Poiché altrimenti l’autonomia degli eletti non avrebbe un contrappeso un antiquato contrappeso. Con il risultato di rendere costantemente deboli i governi.
Il PD è schiavo dei giochetti delle primarie
Il PD degli eterni giochetti parlamentari si è consegnato con l’adozione dello strumento delle primarie al plebiscito senza volerlo però applicare nelle istituzioni.
Internamente al partito, che non ha portato avanti alcuna rivoluzione istituzionale, vi è stata una costante mortificazione degli organismi decisionali interni. Poiché anche l’obbrobrio che Renzi voleva proporre come riforma, non era altro che un parlamentarismo corretto ed avrebbe per forza di cose necessitato di partiti strutturati ed autorevoli.
Guardando la storia del Partito Comunista, ma anche della Democrazia Cristiana, erano proprio questi organismi a decidere il funzionamento ed a dare l’indirizzo politico.
Oggi il PD si trova in una difficile situazione dove un uomo centrista per vocazione, invoca il ritorno ad una legge maggioritaria semplicemente per il fatto che il suo partito ne ha bisogno in quanto ha senso di esistere solo in un sistema di poli. Vivrebbe idealmente in ottica bipolare.
Il PD, che non è mai riuscito a fare un grosso sfondamento al centro, sarebbe una delle più grandi vittime in caso di ritorno ad un sistema puramente proporzionale.
Le segreterie impegnate sempre a ricercare l’equilibrio tra correnti nelle candidature, dovrebbero costantemente mantenerlo perché se si dovesse rompere, il sistema di voto faciliterebbe pericolose scissioni.
Allora per un partito che non riesci ad essere un partito, sempre meglio una legge che obbliga a turarsi il naso e serrare i ranghi.
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