“La quarta rivoluzione industriale” è un libro allarmante, noioso e angosciante. Di cui pochi parlano, immagino per paura di essere definiti complottisti. L’autore è Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum. Che poi swab ha una pronuncia simile al suo cognome e significa tampone; le follie semantiche.
Un signore nato nel 1938 in Germania. Già dalla smorta prefazione di John Elkann ci si chiede quali siano le necessità, i bisogni da soddisfare, per costruire una società così artefatta. Così totalizzante, così unidirezionale, priva di genio e creatività individuale.
Il libro teorizza la quarta rivoluzione industriale che è in atto e che basa se stessa sull’uso della tecnologia, la biotecnologia, la nano/neurotecnologia e altre innovazioni. Al fine di rendere più efficiente l’economia, più vivibile il pianeta riducendo le emissioni tossiche e così via.
L’autore si dà obiettivi temporali precisi e veloci, per impianti biotecnologici, di genetica per creare persone. Di lettura del pensiero attraverso la tecnologia, di diseguaglianze, di perdita di lavoro e altre amenità. Sembra tutto meraviglioso per l’autore, tutto fatto per il bene dell’umanità.
Dichiara il suo progetto in modo trasparente, con descrizione di conseguenze positive e negative di ogni obiettivo raggiunto, tempi e modalità. Con un pragmatismo che solo i tedeschi che vivono in svizzera e hanno studiato negli Usa sanno fare.
“Non si nasconde – afferma candidamente – che creatività e contributo umano possono scomparire in maniera lenta ma inesorabile.”
Un nuovo Mein Kampf
Di autori originali, conferenzieri visionari e apocalittici è pieno il mondo, e anche il Mein Kampf degli anni 2025 ha la sua vetrina. (Draghi incontra Schwab nel novembre 2021 come riportato dal sito del governo)
L’autore preconizza il nuovo totalitarismo digito-sanitario-economico. Leggendolo, non mi hanno spaventato la massiccia riduzione della forza lavoro, la dissoluzione della PMI e neanche l’intelligenza artificiale con i suoi algoritmi al posto dell’Amministratore Delegato.
Mi ha terrorizzato invece l’assenza di proprietà privata per la moltitudine di persone che vivranno in condivisione di beni, la privazione dell’autodeterminazione dell’individuo. L’utilizzo frequente della parola resilienza che mai potrei usare nel mio vocabolario, che indica l’esortazione di adattarsi, di piegarsi.
È anche un libro noioso, a dirla tutta. È un manuale. Privo di spinta vitale, privo di emozioni, di empatia come la società che vuole attuare.
Non si ha paura del cambiamento in sé. molti degli obiettivi nel libro possono essere raggiunti per il miglioramento del benessere reale dei cittadini, ma in modo partecipato. Quello che spaventa è il metodo, unilaterlale e la trascuratezza verso l’individuo come essere pensante e libero.
Un individuo resiliente ma pauroso, che si accontenta
La paura sembra stia dominando il nostro paese, sta trasformando la nostra mente, un profluvio di mascherine. Qualcuno ha l’istinto omicida negli occhi se si accorge che hai abbassato un attimo la mascherina. Non siamo fatti per reggere queste situazioni di allerta, stress troppo a lungo.
Un paese di anziani, dove i salari e la scolarizzazione sono i più bassi d’Europa e il fisco tra i più alti. Un paese dove la corruzione è dietro l’angolo e le Università sono in fondo alla classifica mondiale. Dove la sanità ha effettuato importanti tagli che neanche durante la pandemia si è stati in grado di correggere. Dove, nonostante lo storytelling ricorrente, non ci siamo mai più ripresi dalla crisi del 2008.
Siamo il paese più resiliente di tutti, ci pieghiamo e ci adattiamo alle circostanze soprattutto a quelle avverse.
Il paese dove resistono però le PMI frutto di genio individuale, di grandi capacità imprenditoriali. Di eroi, oserei dire, rispetto alle vessazioni dello stato burocratico.
Siamo uno paese debole, anche per l’autodifesa. Come scrive J.Neil Shulman “il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà richiede, in pratica, il diritto alla autodifesa”. L’America ha uno dei sistemi politici più stabili del mondo e un futuro Lenin o Hitler, sarebbe consapevole che sconfiggere o asservire l’esercito e la polizia non gli basterebbe, dovrebbe fare i conti con la gente comune capace di resistere armata.
Siamo un paese schiacciato dalla paura
La paura unita all’assenza di comunicazione, di relazione, porta inevitabilmente allo sfaldamento della società. Siamo prima di tutto animali sociali. E ci possono impiantare nel corpo qualunque attrezzo, aumentare le nozioni del cervello, ma se non comunichiamo, se non ci vediamo faccia a faccia, se non ci tocchiamo se non ci sorridiamo autenticamente, se non ridiamo, la nostra vita finisce. I primi sintomi sono depressione, tristezza, senso di impotenza.
La società fondata sulla paura blocca l’azione, individuale e collettiva. La paura, l’attesa, il vivere in una bolla, impedisce ogni processo decisionale individuale. Una paura che contribuisce a sviluppare l’inclinazione naturale degli esseri umani ad autoingannarsi nel percepire la realtà.
L’essere umano preferisce scegliere ciò che gli è più comodo rispetto a ciò che migliore. Non amiamo uscire dalla nostra area di comfort. Per preservare il nostro stato di apparente e sereno equilibrio evitiamo di considerare valido tutto ciò che potrebbe sconvolgerlo e migliorarlo. È tutto avviene inconsapevolmente.
Se l’autoinganno funziona benissimo, dovremmo ricordarci invece come solo quando siamo usciti dalla nostra zona di comfort abbiamo appreso nuove abilità, fiducia in noi stessi, sicurezza, benessere.
“L’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa”
Franklin Delano Roosvelt
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