Perchè è giusto superare il reddito di cittadinanza
Nella giornata di ieri è stato sospeso il Reddito di Cittadinanza. La misura, almeno per come la abbiamo conosciuta in questi anni è spirata, con l’ultima rata di Luglio. Da oggi, gli occupabili da 18 a 60 anni (senza figli piccoli o disabili o anziani) , non riceveranno più il sussidio potendosi iscrivere a un portale per la formazione e la ricollocazione sul mercato del lavoro.
IL PROBLEMA NON SONO (SOLO) I MANCATI CONTROLLI
Il Governo, coerentemente con quanto ha sempre dichiarato sin dalla campagna elettorale ha modificato radicalmente la misura limitandola esclusivamente ai fragili, cioè a chi ne ha realmente bisogno. Una modifica che arriva dopo una attenta valutazione di come ha funzionato in questi anni il Rdc che, al netto degli abusi e delle – molte, troppe – irregolarità, non ha dato i risultati sperati.
La Procura generale della Corte dei Conti con le sue sedi regionali sta svolgendo da tempo una ampia indagine su questi abusi, scoprendo peraltro che sono molti di più di quelli che i media consegnano con ritmo quasi quotidiano alle cronache. Un quadro desolante di parassiti sociali utilizzati da qualche astuta faina a fini politici.
IL REDDITO DI CITTADINANZA E’ STATO CONCEPITO MALE E REALIZZATO MALE
Ma limitarsi a questo sarebbe riduttivo e non coglierebbe l’essenza della questione. In altre parole, il problema sta solo nella disonestà dei singoli e nella scarsità di controlli, come qualcuno vorrebbe farci credere? Assolutamente no. Il problema sta a monte e affonda le proprie radici nella stessa natura della misura. Fin dalla sua genesi il RDC avrebbe dovuto – nella propaganda di chi lo ha proposto – agevolare l’inserimento nel mercato del lavoro dei disoccupati e dei c.d. poveri. Ciò tramite una guida specifica e pedissequa che superando i centri per l’impiego avrebbe favorito domanda e offerta di lavoro. Il sussidio dunque avrebbe avuto carattere temporaneo e provvisorio in attesa di mirabolanti nuovi lavori.
Tutoring
Ebbene, il servizio di tutoring è completamente naufragato. L’incontro tra domanda e offerta è rimasta una mera chimera e nei fatti, il RDC si è tradotto in una misura meramente assistenzialistica del tutto incapace di modificare l’occupazione. Il cortocircuito poi è stato che, non essendo stato possibile garantire ai fruitori del reddito delle concrete offerte di lavoro, non se ne poteva più limitare temporalmente la fruizione, poiché “l’inadempimento” non dipendeva da responsabilità disoccupato di turno ma del sistema. Quindi il singolo percettore non poteva perdere il sussidio per fatto e colpa di altri. E quindi, il risultato è stato quello di ingolfare le fila di percettori che continuavano a essere disoccupati – ma a spese dello Stato – e che magari arrotondavano le entrate con un po’ di lavoretti a nero.
Questo, soprattutto in alcune aree del paese che, non proprio casualmente, adesso, sono quelle che protestano in modo più vibrante contro la sospensione del rdc.
QUANTO CI E’ COSTATO IL REDDITO DI CITTADINANZA?
Questa la storia del reddito di cittadinanza, che non ha assolutamente abolito la povertà, ma, paradossalmente l’ha aggravata, impoverendo la Nazione nel suo complesso.
L’aumento
Come? Con l’aumento della spesa pubblica improduttiva. Spesa che aumenta senza determinare alcun miglioramento nemmeno sul medio e lungo periodo.
Dalla sua istituzione nel 2019, il costo per lo Stato Italiano per finanziare la misura è passato da 3,9 miliardi a 7,2 miliardi (nel 2020), 8,6 miliari nel 2021 e altri 8 miliardi nel 2022. Circa 27 miliardi di euro spesi in pochi anni per una misura che – lo si ripete – non ha portato alcun beneficio all’occupazione o alla dinamicità del mercato del lavoro.
Occorre fare uno sforzo di onestà intellettuale: il reddito di cittadinanza ha fallito. Modificarlo in modo radicale è un dovere. E quindi bene ha fatto il Governo a procedere spedito in tale direzione. A maggior ragione in considerazione del fatto che in Autunno si dovrà discutere, in sede europea, del ripristino del patto di stabilità che imporrà un giro di vite sulla spesa pubblica nel nostro paese, già funestato da un debito altissimo.
Insomma, non si può continuare a guardare al dito tralasciando la luna.
UNA SINISTRA CONTRADDITTORIA E MASSIMALISTA
Se non si pongono in essere misure atte a incentivare la produttività e la competitività delle imprese sul mercato globale non si vince la povertà. Punto! Evidentemente un concetto troppo difficile da comprendere per una sinistra incapace di guardare al futuro del paese, ma molto abile nel cavalcare battaglie ideologiche puntando su un ingombrante ed eterno presente. Molto meglio – per loro – la semplificazione populista dei buoni contro i cattivi. Molto meglio la pericolosa narrazione per cui c’è qualcuno “che fa la guerra ai poveri”. Attenzione, perché è una narrazione pericolosa e palesemente falsa, di una sinistra sempre più massimalista che cavalca il malcontento sociale. Una narraziona apocalittica sulle tensioni esistenti che denota incompetenza (nel migliore dei casi), e malafede (nel peggiore). Non si può scherzare col fuoco e non si può impostare la discussione partendo dal presupposto che il reddito di cittadinanza è il fulcro del nostro sistema di welfare e di tutela dei poveri. E’ un falso, una truffa politica, oltre che un errore madornale. Errore che peraltro fa sorridere (si fa per dire!)) poiché in tempi non sospetti, il PD ha avversato strenuamente in Parlamento il RDC, proprio sulla base delle stesse criticità oggi rilevate dal Governo.
Invece, adesso, sconfessando se stessi, PD e Movimento 5 Stelle (oltre i cespugli a latere) soffiano gioiosi sul malcontento sociale dimenticando completamente l’ABC delle politiche sul Lavoro.
LA SFIDA PER IL GOVERNO: CIO’ CHE SERVE
Infatti, quello che servirebbe – e che alla sinistra manca totalmente – è il senso più generale di una economia che si sganci dalla dinamica eternamente conflittuale tra produzione e lavoro, tra vecchie e nuove generazione, tra occupati e inoccupati ecc; e che al contrario si muova verso una alleanza sinergia tra gli attori in campo. In parole più semplici – e questa sarà la reale sfida per il Governo – servono politiche attive del lavoro che possano garantire occupazione di qualità. Lavoratori formati e qualificati, così da poter coprire quelle lacune di domanda di lavoro che stanno fiaccando alcuni settori produttivi. Mancano operai specializzati, in alcuni comparti strategici per il paese con imprese che richiedono manodopera qualificata e che faticano a trovarla. Serve una riforma complessiva dei centri per l’impiego (che ne porti al loro superamento?), sempre più dei carrozzoni burocratici che non agevolano in nulla l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Insomma, serve un cambiamento radicale e proattivo che veda lo Stato come facilitatore (ad esempio attraverso una seria riforma fiscale che incentivi le aziende all’assunzione) e non come una eterna poppa da cui tutti possono abbeverarsi.
Perchè, il punto è proprio questo! L’idea malsana che lo Stato sia una “madre” che ha l’obbligo di sostentare i propri figli è una visione distorta che genera una intollerabile passività, a un intollerabile attendismo aspettando che qualcun altro risolva i propri problemi. Una visione di tal genere porta dritti dritti alla bancarotta. Ma forse, qualcuno spera proprio in questo secondo l’antico brocardo “tanto peggio tanto meglio”.
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