Oggi Pasolini sarebbe un novantanovenne. Potrebbe paradossalmente molto anziano, ma essere ancora tra di noi.
In realtà è morto ben prima di diventare anziano. Aveva poco più di cinquantatré anni, quando fu massacrato, non da Pino Pelosi o almeno non solo da lui. Forse non si può dare un’identità ai singoli assassini, ma sicuramente il mandante della morte di Pier Paolo Pasolini era un’intera classe politica a cui lui non faceva comodo.
Non piaceva ai partiti di potere. Era un uomo di fortissima integrità morale. Facile gioco era al tempo definirlo un pervertito, un depravato, un pedofilo. Ci fosse mai stata una prova reale contro di lui in queste asserzioni.
Era un uomo onesto, che disprezzava il compromesso, la corruzione, la politica intesa esclusivamente come mezzo per preservare il potere.
Era una voce pura che gridava nel deserto. Sarebbe stata particolarmente scomoda al tempo del compromesso storico. Un severo inquisitore sia per i comunisti che per i democristiani.
I primi li ardeva ogni giorno con l’accusa di essere pronti a rinnegare qualunque cosa pur di restare al governo. I secondi li avrebbe mandati al rogo con l’accusa di essere pronti a tradire qualunque ideale pur di andarci. Ed il bello è che avrebbe avuto pienamente ragione in ambedue i casi.
La forza del politicamente scomodo
La forza di Pasolini era proprio questa: l’essere davvero politicamente scomodo mostrando la verità. Il suo cinema era politicamente scomodo poiché mostrava agli occhi di tutto il mondo, quelle realtà di borgata che in questo paese esistevano ma si volevano assolutamente tenevano coperte.
Il suo accattone, l’attore Franco Citti, che cerca di uccidersi nella Roma bene, perché la morte di un accattone in borgata non faceva notizia. Il sottoproletariato esisteva, le prostitute esistevano, gli omosessuali esistevano, i ladri, i papponi. Tutte cose che in quell’Italia nessuno voleva che esistessero. O meglio che nessuno voleva ammettere che esistessero.
A destra il gioco era facile, non contava la sua morale e la sua onestà di intellettuale e di uomo. Era semplicemente descritto come un povero degenerato. E così si liquidava semplicemente tutto il suo messaggio.
Peggio ancora la sinistra.
E non solo perché nella sua tragica storia familiare, il fratello Guido fu ucciso dai partigiani comunisti.
Il suo allontanamento perché omosessuale. La sua critica al compromesso alla rivoluzione sessantottina dei figli di papà, il peggior prodotto di una borghesia che si preserva. Il cui potere è giustificato e legittimato dalla cultura dominante.
Il contrario della cultura di Pasolini che era contro ogni ingiustizia, dalla parte degli ultimi, dei dimenticati degli accattoni, di quelli che non dovevano esistere ufficialmente in questo paese.
“Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo.”
Scriveva coraggiosamente inimicandosi la sinistra ma non venendo riconosciuto se non tardivamente neppure dalla destra.
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