Politica industriale del Governo
Il governo Meloni ha ereditato dai precedenti molte castagne industriali non bollenti ma bruciate dalla conclamata incapacità dei grillini e dal massimalismo del PD che ha sposato più le tesi post sovietiche di Landini che il buon senso dell’ala moderata che compone l’arcobaleno del partitone: ora la signorina Schlein, che pare capirci molto poco, deve navigare a vista fra gli scogli affioranti sparsi sulla rotta di alcune “eccellenze” economiche del Paese. Quindi tace e lascia sproloquiare gli avversari/alleati grillini che per dire ca..te non si fanno certo pregare.
Solo tre esempi “pesanti”: Ilva, ATI e gli eterni Agnelli.
L’ILVA è un “caso di scuola”: sul suo corpo si sono accaniti tutti i peggiori sciacalli anti industriali del Paese. Si parte dalla sentenza che ha sancito il nuovo principio di diritto: le acciaierie non inquinano finché sono statali, inquinano solo da quando diventano private.
Da cui la “rapina” alla famiglia Riva, le esercitazioni fantasiose della procura e del sindaco di Taranto, dei geniali ministri Lezzi e Toninelli, delle visioni sanitarie apocalittiche un po’ sostenute e un pò smentite dalle autorità sanitarie, dei consueti deliri da comitati “spontanei”, dei sindacati (antindustriali!).
Risultati: i miliardi buttati via, la più grande acciaieria d’Europa quasi morta, l’Italia costretta a importare acciaio ai prezzi definiti da altri; il costo delle decine di migliaia di cassaintegrati (da quasi dieci anni: quella di cassaintegrato tarantino è diventata una professione consolidata) non a “carico dello Stato”, ma degli italiani che producono un reddito tassato per due terzi e speso in questo modo.
E ora? Ora deve intervenire di nuovo lo Stato (cioè noi: tu che leggi, io che scrivo), dopo che il governo dei grillini ha disatteso l’accordo con Arcelor Mittal reintroducendo la responsabilità penale per reati pregressi compiuti da altri: io vado in galera oggi se tu ieri hai violato la legge. Giulio Paolo e Domizio Ulpiano si sono rivoltati nella tomba: poco male; ma Arcelor Mittal, non particolarmente santa, si sfila, investe un miliardo e mezzo in Francia, molla la castagna bruciata nelle mani del governo che ”deve smettere di lamentarsi” per le eredità sconce del passato.
ITA: figlia di Alitalia. Assieme alla madre è costata una intera manovra (oltre 17 miliardi) in beneficenze distribuite ai rapaci dipendenti e alle inefficienze tutelate dai Landini di turno, pagate dai soliti contribuenti, per di più vittime di disservizi, ritardi, scoperture, scioperi selvaggi: mazziati e cornuti.
Ma ITA non ha ancor finito di avere bisogno dei nostri soldi. L’U.E. non ha dato il consenso al matrimonio con Lufthansa e ITA continua ad accumulare perdite, come sempre risanate coi nostri risparmi
Ora arriva STELLANTIS: il caso è gustoso e indica in modo plastico il ruolo di una parte della comunicazione giornalistica in Italia. Nel caso in esame parliamo di Repubblica e delle consorelle che fanno capo alla famiglia Elkan, gli eredi Agnelli, che hanno comprato da De Benedetti il gruppo editoriale Gedi per sparare in difesa dei fatti propri: la Stampa di Torino non bastava più.
Il fatto: per continuare a produrre in Italia un milione di auto all’anno Stellantis chiede al Governo più incentivi. La parabola è nota: abbandonata l’Italia con mosse silenti, sede in Gran Bretagna, domicilio fiscale in Olanda, matrimonio industriale in Francia: neanche più il nome – ex Fabbrica Italiana Automobili Torino – è italiano! Per memoria: a partire dal 1975, il gruppo Fiat ha complessivamente portato a casa oltre 220 miliardi (casse integrazioni ordinarie, straordinarie, speciali, prepensionamenti, rottamazioni, eccetera), beninteso col consenso di sindacati, governi, mezzi di informazione.
Il sistema ha funzionato per decenni: la proprietà garantiva i posti di lavoro accontentandosi di utili magri, i sindacati comandavano in fabbrica, i governi coprivano le perdite, i mezzi di informazione suonavano i violini.
Tutti contenti, anche i contribuenti che finanziavano il baraccone senza saperlo e si sa: occhio non vede, cuore non duole.
Questo governo finora dice no a Stellantis; la signora Meloni è lapidaria: sei una società straniera, non ti incentivo
Repubblica fa il compito assegnato: spara a zero sul Governo. Le parti sono definite e seguono il vecchio copione: Stellantis bussa a denari come faceva mamma Fiat. Un pezzo importante di comunicazione “formativa” si schiera con vigore. Aspettiamo i sindacati.
Del resto Eugenio Scalfari e Carlo De Bendetti fin dalla fondazione di Repubblica non intendevamo fare un giornale ma un partito politico improprio e parallelo a sostegno della nebulosa di sinistra, cui peraltro appartengono quasi tutti i miliardari del mondo: molta “formazione”, poca “informazione”.
Come si vede niente di nuovo su questo fronte; nuovo potrebbe essere il diniego del governo che però dovrà fare i conti con la canea dei sindacati, dei corifei dell’informazione e della politica: la difesa della occupazione ad ogni costo (degli altri).
Ma nessuno, finora neanche il nuovo governo, pone sul tavolo la domanda essenziale: perché Ancelor Mittal, ITA, Fiat, e un numero inquietante di imprese industriali, in forme diverse lasciano l’Italia?
Che cosa fare per invertire la tendenza a dirci addio?
A me pare che il Governo Meloni si debba impegnare più su questo quesito che non sull’ l’abbaiare di Repubblica né sulle c…te grilline o sui i probabili ultimatum di Landini, coniugati in parlamento dalla garrula signorina Schlein