Politica: la rotta dei grandi timonieri
Giuseppe Guarino, fine giurista e più volte ministro, in uno scritto di oltre cinquant’anni fa scriveva: «L’opera dei tecnici incontra dei limiti obiettivi al di là dei quali si estende lo spazio riservato all’opera dei politici».
Il tecnico che non si limita a consigliare la politica, di fatto ritiene di poterla sostituire.
Il governo “tecnocratico” postula una legittimazione non di tipo politico, costruita secondo le regole della rappresentanza assembleare, bensì fondata sulla conoscenza della tecnica (quale essa sia: economica, finanziaria, tecnologica in senso proprio ecc.), che avrebbe supremazia sulla politica, cui cioè quest’ultima sarebbe subordinata.
La bussola è “posizionare i fini”
Rimane insoluto e sullo sfondo un importante quesito e cioè se vi sia una sfera di intangibilità, un nucleo duro della politica non scalfibile in alcun modo dalla tecnica.
Tuttavia proprio le nuove sfide ed in particolare le scissioni che derivano da contrapposizioni tra civiltà, tra religioni, tra differenze identitarie sentite come irriducibili evidenziano l’idea che, anche per la costruzione di un “nuovo ordine mondiale”, la tecnica non basti.
Il tecnicismo messo nei singoli servigi pubblici rischia di portare sì competenza specifica, ma con il rischio di far perdere di vista il tutto.
È dunque la complessità, non necessariamente la tecnica in sé e per sé considerata, a dominare la politica e l’amministrazione. E la complessità si domina con la formazione e la conoscenza della “politica” da un lato, ma anche dei problemi e dei vincoli normativi, amministrativi, gestionali, finanziari alle scelte politico-amministrative dall’altro; senza conoscere i quali è molto difficile fare attività di “posizione di fini”, che resta in quota al timone della politica.
Il programma elettorale sia un patto
Quanto al programma che i partiti e le coalizioni presentano al corpo elettorale, esso rimane in larga parte condizionato dalle contingenze economiche, dalla pressione emergenziale, dalla necessità di adeguarsi ai vincoli comunitari: se in astratto il passaggio al sistema maggioritario avrebbe dovuto condurre a una più stretta continuità tra programma elettorale e azione del Governo, nella realtà, vista l’elasticità dei programmi elettorali determinata dalla necessità di tenere insieme coalizioni eterogenee, attesta il progressivo indebolimento della doverosa corrispondenza tra il programma presentato agli elettori, quello presentato alle Camere e la concreta azione politica del Governo.
Cosa guida oggi la politica?
E tutto ciò mentre gli spazi della politica sono sempre più angusti per effetto dell’azione combinata delle istituzioni sovranazionali, dei mercati e le invadenze interessate della scena mediatica.
Non deve quindi meravigliare l’allargamento della forbice tra un metodo di gestione politica sempre più verticistico – decisionista da un lato e quello che postula la partecipazione popolare dall’altro.
Il Card. Carlo Maria Martini, nel suo celebre “decalogo” per i cristiani impegnati in politica del 1995, si esprimeva così al riguardo: «Tutti i singoli valori sono importanti; tuttavia vengono messi in pericolo allorché non si tiene conto delle condizioni generali del bene comune e delle sue esigenze rispetto al metodo generale di fare politica».
E proseguiva: “La decisione rapida, l’uomo forte, il consenso rapidamente ottenuto mettendo magari di fronte a un “sì” o a un “no” secchi, che non permettono l’approfondimento necessario. Il rischio è quello di dare vita a una società divisa, intrisa di spirito di rivalsa, che si lascia guidare più dall’emotività che dal consenso sociale”.
Avere forte il senso dello Stato
“Ciò significa concretamente – concludeva Carlo Maria Martini – che il cristiano è chiamato ad avere forte il senso dello Stato, a dare la precedenza al bene comune e agli interessi generali sull’interesse privato o sugli interessi corporativi, a non posporre mai la coscienza e i valori morali al raggiungimento di fini utilitari immediati”.
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