Prostituzione – Nel 1958 i costumi sessuali degli italiani sono cambiati, grazie alla senatrice Angelina Merlin. Dopo una lunga battaglia, infatti, la parlamentare socialista riuscì a far approvare l’omonima legge che aboliva la prostituzione in Italia. Le “Case Chiuse” divennero davvero tali, non solo perché le imposte dovevano rimanere sempre serrate con una catena per evitare sguardi indiscreti sulle liaisons amorose consumate all’interno – condizione che dall’Ottocento ne aveva determinato il nome. Il mestiere più vecchio del mondo era regolamentato da secoli.
Nel XIV secolo i governanti e le autorità religiose imposero una licenza per gestire le case di tolleranza che ebbero immediatamente un grande sviluppo. Nella Roma papalina, ad esempio, il censimento del 1526 registrava 4.900 prostitute ufficiali, su una popolazione di 50.000 abitanti.
In epoca rinascimentale le professioniste del sesso non di alto livello esercitavano nel retro bottega dei mastri candelieri, la prestazione durava il tempo di un lume, finito il quale il garzone andava ad avvertire che i minuti a disposizione erano finiti. E’ da questo ingrato compito del ragazzo di bottega, che deriva l’espressione “reggere il moccolo”.
Tra i vocaboli per definire i luoghi deputati al piacere c’è anche “Casino” che deriva proprio da Casa, ed era, un tempo, una piccola casa che i nobili destinavano alla caccia. Assumeva quindi un carattere riparato, discreto. Non era la casa, ma il piccolo casino, quello dove nascevano dei club privati, in cui gli uomini facevano le loro cose. In Francia giocavano d’azzardo (da qui il termine Casinò), nella più focosa Italia preferivano trasformare in realtà le fantasie erotiche; poiché entrambe le attività erano abbastanza rumorose si è poi usato il termine come sinonimo di “chiasso”.
I postriboli aprirono i battenti nel 1859, ai tempi della seconda guerra di indipendenza, quando Napoleone III pose come condizione, per l’intervento francese al fianco dei Savoia, la creazione di luoghi adibiti allo svago della truppa. Fu così che in Piemonte nacquero i primi bordelli: luoghi destinati al ristoro dei militari, dove, prima degli incontri amorosi, i soldati potevano mangiare, bere vino e ballare. Andati via i francesi, i bordelli rimasero in forza di una legge di pubblica sicurezza introdotta dal conte Camillo di Cavour. Con tale norma fu stabilito che le donne che “notoriamente” erano prostitute fossero iscritte in appositi registri tenuti dalla polizia, ricevessero un libretto professionale e potessero esercitare il loro mestiere o in case tollerate, oppure in un’abitazione particolare, se autorizzate. Norme rimaste in vigore per cento anni, fino alla legge Merlin.
Dopo la seconda Guerra mondiale le forti spinte dei partiti socialista e comunista, nonché dei movimenti femministi, determinarono la chiusura dei casini in tutta Europa. La Legge Merlin non ebbe un iter facile, ci vollero infatti ben dieci anni perché si giungesse all’approvazione della norma che metteva al bando la prostituzione. Il “mestiere più antico del mondo” ha continuato, ovviamente, ad essere esercitato senza tuttavia essere in alcun modo regolamentato.
Oggi in molti Paesi occidentali – Germania per primo – è stato nuovamente adottato il “modello regolamentarista”, cioè un sistema in cui la prostituzione è legale e regolamentata, con notevoli benefici sia in termini di sicurezza sociale (i reati contro le prostitute sono praticamente inesistenti, a differenza che nei Paesi abolizionisti come l’Italia), sia per le casse dell’erario. Solo nel nostro Paese si calcola che le prostitute siano oltre settantamila, nove milioni i clienti, per un giro d’affari che oscilla tra i due e i sei miliardi di euro (pari allo 0,5% del PIL nazionale). Una colossale evasione fiscale che sarebbe il caso di regolamentare.