QUANDO I PALADINI DELL’UGUAGLIANZA SONO CONFUSI
Tutti parliamo di “integrazione”; eppure, non si sa come, col termine “integrazione” intendiamo tutti qualcosa di diverso. Ma “integrazione” non è una parola dal significato ambiguo: “integrare” o, meglio, “integrarsi” vuol dire “entrare a far parte stabilmente di un gruppo, di una struttura, di una società o di una comunità, assimilandosi e fondendosi con chi già ne faceva parte” (Treccani).
Tutto il resto non è integrazione, ma il suo esatto opposto: segregazione
Visto che viviamo in una società confusa, è allucinante, ma necessario, dare anche una definizione di “segregazione”, che ha, però, bisogno dell’aggettivo “razziale”, in quanto termine polisemantico: “separazione delle razze, soprattutto come sistema applicato da governi razzisti in alcune nazioni a popolazione mista, per tenere separato l’elemento di colore da quello bianco (nei quartieri d’abitazione, in luoghi di lavoro, in esercizi e servizi pubblici), operando forti discriminazioni dell’uno in favore dell’altro sul piano dei diritti politici e civili (accesso a professioni e cariche pubbliche, alla frequenza di scuole, ecc.)” (Treccani). Con un certo rigore logico, possiamo ben affermare che chi sia contrario all’integrazione, nel suo autentico significato, può solo proporre la segregazione che, in quanto razziale, è una politica fortemente razzista.
Ora, integrazione vuol dire inclusione: non ci sono altre vie. Se sventoliamo la bandiera dell’uguaglianza, non possiamo volgere lo sguardo dall’altra parte quando si pretende o si chiede o si sostiene un comportamento diverso a seconda della realtà contingente e non possiamo, quindi, ammettere discriminazioni di nessun tipo
Uguaglianza è prima di tutto uguaglianza di fronte alla legge, cioè uguaglianza di trattamento: abbiamo il diritto di essere trattati tutti allo stesso modo dai pubblici poteri, senza distinzione; ma, abbiamo anche il dovere di trattare noi, in prima persona o come comunità o come azienda, tutti allo stesso modo.
È odiosamente contraddittorio abbattere, giustamente, le mura del patriarcato e, poi, far chiudere le piscine per un certo periodo di tempo in modo da riservarle a donne musulmane che non possono fare il bagno in presenza di uomini, come è stato proposto anche a Ciriè, la mia città di nascita, nel Canavese meridionale, dal gestore dell’impianto della piscina comunale (e chi se ne frega dei dipendenti uomini, che dovrebbero essere dispensati, a chi importa più dei lavoratori).
Così facendo, alimentiamo un altro patriarcato, che non è quello occidentale, ma quello islamico, che nulla ha a che fare coi valori democratici e laici di cui ci autonominiamo paladini
Come diamine facciamo a costruire una società più giusta quando sosteniamo nuove discriminazioni?
In passato, una giovane giornalista pubblicò un libricino dal titolo Il sesso inutile (1961), un vero e proprio manifesto del femminismo in 170 pagine, ove Oriana Fallaci racconta delle condizioni delle donne di tutto il mondo. In questo capolavoro, c’è un passaggio, in particolare, che vale la pena studiare a memoria: “Questa fascia di terra dove non esistono zitelle, né matrimoni d’amore, e la matematica diventa un’opinione, comprende ben seicento milioni di persone la metà delle quali, a occhio e croce, son donne che vivono dietro la nebbia fitta di un velo e più che un velo è un lenzuolo il quale le copre dalla testa ai piedi come un sudario: per nasconderle agli sguardi di chiunque non sia il marito, un bimbo o uno schiavo senza vigore.
Questo lenzuolo, che si chiami purdah o burkah o pushi o kulle o djellabah, ha due buchi all’altezza degli occhi oppure un fitto graticcio alto due centimetri e largo sei: attraverso quei buchi o quel graticcio esse guardano il cielo e la gente attraverso le sbarre di una prigione
Questa prigione si estende dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano percorrendo il Marocco, l’Algeria, la Nigeria, la Libia, l’Egitto, la Siria, il Libano, l’Iraq, la Giordania, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan, il Pakistan, l’Indonesia: il regno sterminato dell’Islam”.
Sì, la Fallaci è ancora attuale
È ancora importante citarla dato che l’ISTAT, nel Report cittadini non comunitari del 2023, rileva che più di un terzo degli extracomunitari trasferitisi in Italia arriva proprio dal “regno sterminato dell’Islam” e che oltre la metà di questi è accolta per motivi umanitari. Sono abbastanza stufo di sentire: “ma le nostre nonne indossavano il velo”.
Ora, le mie nonne non hanno mai indossato il velo, le mie bisnonne nemmeno (tra l’altro, ho avuto l’onore di conoscerne una, che portava una lunga treccia bianca, magistralmente intrecciata) e, comunque, anche se fosse non vedo come possa essere un argomento rilevante: cioè, pretendiamo che le nostre ragazza siano libere di vestirsi come vogliono, però, per le ragazze straniere pretendiamo che vivano come negli anni Sessanta.
Francamente, io non vorrei che qualcuno, in Italia, vivesse come si viveva (sempre secondo sta gente convinta che le donne a quei tempi portassero il velo) negli anni Sessanta.
Ma visto che certa gente vuole questo per le ragazze musulmane, che possono benissimo essere musulmane senza mettere il velo, vero simbolo del patriarcato, io spero che fra una decina di anni, quando esse vivranno nei loro anni Settanta, sfilino per le strade, bruciando quel “lenzuolo” che sono costrette ad indossare esattamente come le donne in Occidente bruciavano, nei veri anni Settanta, il reggiseno. Spero che le nostre femministe “rococò”, come le ha chiamate qualcuno, quando arriverà quel momento, si uniranno a loro, anche se ne dubito.
Non si sa come mai, è un mistero, ma, per una certa parte politica, se sei straniero, devi restare straniero
È come se fossi troppo inferiore per essere come me, per appartenere alla mia cultura. Mi danno del razzista perché pretendo che chi viene in Italia, debba divenire italiano, con gli stessi diritti degli Italiani, degli Italiani, però, chiedo che abbia anche gli stessi doveri. Centinaia di migliaia di persone sono scappate e continuano a scappare dal “regno dell’Islam” e noi che facciamo?
Le ignoriamo, le abbandoniamo a loro stesse e, anziché con loro, spesso e volentieri ci schieriamo coi loro tiranni
Permettiamo loro di continuare a perpetrare i loro modi di fare razzisti e maschilisti. Abbiamo un buon motivo, come italiani, come occidentali, per coprirci di vergogna, continuava la Fallaci: “Lì esistono gli harem come quelli del re dello Yemen con le sue duecento concubine e le sue trentadue mogli. Lì le donne crepano come cani rognosi perché non è permesso farle visitare da un dottore.
Lì le donne non sanno quello che accade al di là dei corridoi guardati da eunuchi: perché quanto entrano è per non uscirne mai più
Esse sono creature tanto inutili che, quando nascono, non vengono registrate all’anagrafe. Spesso non hanno un cognome, né una carta d’identità, giacché fotografarle è vietato, e nessuna di loro conosce il significato della strana parola che in Occidente chiamano amore. L’uomo è il loro signore e padrone…”.
Matteo Marra, Responsabile Nazionale Giovani e Universitari Liberali e Popolari
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