Quando la giustizia punisce le vittime: il paradosso della legittima difesa in Italia

Quando la giustizia punisce le vittime: il paradosso della legittima difesa in Italia

Di fronte a un aggressore che viola la tua casa o il tuo negozio, cosa faresti?

Reagiresti per proteggere i tuoi cari o ti fermeresti, paralizzato dalla paura di un tribunale che potrebbe giudicare la tua reazione “sproporzionata”?

Questa è la domanda che ogni cittadino italiano si pone, leggendo i tanti casi di cronaca in cui chi si difende da un furto o un’aggressione si trova paradossalmente a dover rispondere davanti alla legge.

Una giustizia che punisce chi si difende
Negli ultimi anni, numerosi casi di cronaca hanno evidenziato un preoccupante sbilanciamento del nostro sistema giudiziario. Pensiamo alla vicenda di Franco Birolo, tabaccaio di Civè di Correzzola, che nel 2012, svegliato dai rumori, scese armato di fucile nel suo negozio, trovandosi davanti quattro ladri.

Durante la colluttazione, sparò, uccidendo uno dei malviventi. In primo grado fu condannato a 2 anni e 8 mesi, ma la sentenza fu ribaltata in Cassazione, che lo assolse

Tuttavia, ora la famiglia del ladro morto ha avviato un procedimento civile per chiedere un risarcimento.

Un caso altrettanto emblematico è quello del padre fiorentino che, nel 2015, rientrando in casa con la figlia, scoprì un ladro all’interno. Temendo per la sicurezza della bambina, reagì colpendolo. L’uomo è stato condannato a 1 anno e 6 mesi di carcere e a risarcire l’aggressore con 1.500 euro, mentre il ladro è rimasto libero.

Non mancano situazioni grottesche, come quella del ladro romeno morto nel 2013 in un cassonetto di rifiuti mentre cercava di rubare. La sua famiglia, pur essendo già stata respinta dal Comune, ha ora avviato una causa contro l’azienda produttrice del cassone, sostenendo che il dispositivo non fosse sicuro

La proporzionalità della difesa: un principio irrealizzabile
Il cuore del problema risiede nel concetto di “proporzionalità della difesa”, che prevede che la reazione della vittima sia adeguata alla minaccia ricevuta. Ma come può una persona, colta di sorpresa nel cuore della notte, valutare con freddezza se l’aggressore sia armato, abbia complici o sia intenzionato a fare del male?

Pretendere una reazione razionale in situazioni di panico è semplicemente assurdo. La vittima non conosce le intenzioni dell’intruso, né può prevedere se sia disposta a uccidere. Eppure, la giurisprudenza italiana sembra ignorare questa realtà, affidando a giudici e periti il compito di valutare a posteriori ciò che accade in pochi secondi di paura

La percezione di una magistratura politicizzata
Per molti, queste sentenze sono il risultato di una magistratura politicizzata e influenzata da un garantismo ideologico che tende a tutelare i diritti di chi viola la legge, piuttosto che di chi ne subisce le conseguenze. Se il garantismo è un principio cardine dello stato di diritto, in alcuni casi viene interpretato in modo distorto, trasformandosi in un “buonismo giuridico” che finisce per proteggere i delinquenti.

Il risultato è che i cittadini si sentono abbandonati da uno Stato incapace di difendere chi subisce un’aggressione. Chiunque abbia vissuto un’esperienza simile – o conosca qualcuno che l’ha affrontata – sa quanto sia devastante non solo l’aggressione in sé, ma anche l’umiliazione di essere trattati come colpevoli per aver reagito

Quando il risarcimento diventa una beffa
Particolarmente odiosi sono i casi in cui le vittime vengono obbligate a risarcire i loro aggressori o le famiglie di questi ultimi.

Il padre fiorentino condannato a risarcire il ladro, o Franco Birolo, che rischia di dover pagare i parenti del malvivente ucciso, sono esempi di un sistema che sembra proteggere più i colpevoli che le vittime

Questi casi non solo appaiono come una beffa, ma trasmettono un messaggio pericoloso: chi commette un reato può contare su una giustizia indulgente, mentre chi si difende deve temere ripercussioni legali ed economiche.

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