Quelli di via Fani. 43 anni dal rapimento di Aldo Moro

Quarantatrè anni fa la strage di via Fani ed il rapimento di Aldo Moro

43 anni

Cosa accadde quella mattina di ormai 43 anni fa, quanti erano veramente i brigatisti, se rispondessero ad apparati superiori, quali fossero le vere identità di tutti, non le sappiamo. Quello che è certo è che quella mattina a terra rimasero uccisi immediatamente quattro servitori dello stato. Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera. Un quinto Francesco Zizzi morirà poco dopo in ospedale.

Nella velocità dell’agguato solo Iozzino riuscì a esplodere alcuni colpi prima di essere freddato a sua volta.

L’onorevole Aldo Moro venne rapito è tenuto in ostaggio per cinquantacinque giorni. Ma non voglio soffermarmi sul destino del presidente della Democrazia Cristiana, che è noto a tutti e che può essere successivamente commentato. Ma su quei cinque di cui spesso nessuno ha memoria.

Il documentario RAI

Alcuni anni fa la Rai ha prodotto una bel documentario intitolato: “Quelli di via Fani” per la serie “La storia siamo noi”.

Un documento interessante su come fondamentalmente ci si sia sempre interessati molto più della storia dei brigatisti, del loro reinserimento sociale che del destino dei figli di quei servitori dello stato caduti in via Fani.

Un paio di anni fa suscitò scalpore un post dell’ex brigatista Barbara Balzerani che testualmente diceva: “Chi mi ospita oltre confine per i fasti del 40ennale?”. Poco prima dall’anniversario della strage di via Fani.
In quell’occasione Giovanni Ricci, figlio di uno degli agenti uccisi individuò il vero problema nei post che le esprimevano solidarietà ed ammirazione.

Infatti nel tempo è stata mitizzata la militanza armata di molti terroristi, quasi come se si trattasse di legittimi combattenti e non di criminali. L’Italia era sotto choc, e lo stato sostenne la linea della fermezza dicendo apertamente di non poter scendere a trattative con dei terroristi.

Evitare la riabilitazione storica dei terroristi

Dunque la naturale conseguenza è che in Italia dobbiamo evitare in qualsiasi modo la riabilitazione storica di qualunque terrorista, di qualunque colore politico, riconoscendoli la dignità di un combattente legittimo.

L’eventuale riabilitazione di un singolo che, scontata la propria pena si ravvede, è una cosa. La legittimazione storica delle ragioni dei terroristi è un’altra ed è inaccettabile, immorale, insostenibile. I terroristi non hanno mai portato un uniforme, non hanno mai apertamente portato le armi. Hanno sempre agito in totale clandestinità colpendo obiettivi civili e militari. Sfruttando l’elemento sorpresa fornitogli dall’uso subdolo e perfido dell’abito borghese che vestivano.

Non hanno rispettato le normative del diritto riguardo ai danni inferti alla popolazione civile, a persone inermi e non hanno agito secondo alcun principio di correttezza che dovrebbe anche nello svolgimento di un conflitto.

La mitizzazione di questi delinquenti diventa la costante e perenne umiliazione dello stato e dei servitori dello stato che sono caduti per difenderlo.

Certo un è un po’ strano che per Aldo Moro valesse la linea della fermezza, non si potesse fare alcun patto. Mentre pochi mesi dopo ci fu un atteggiamento ben diverso al fine di ottenere la liberazione dell’assessore Ciro Cirillo, sempre sequestrato dalle Brigate Rosse. In quel caso invece si fece tutto per salvargli la vita.

Ma tornando all’argomento principale, quel 16 marzo 1978 l’Italia rimase scioccata ed i partiti si compattano sulla linea della fermezza. In primo luogo la democrazia Cristiana, alla quale apparteneva Aldo Moro. In quel momento esprimeva il ministro degli interni in Francesco Cossiga, che era politicamente di sicuro uno degli uomini più vicini a Moro e secondo molte testimonianze il suo delfino .

Il Partito Comunista Italiano

Probabilmente in quell’occasione prevalse in Enrico Berlinguer la necessità di dimostrare e ribadire la totale distanza del partito comunista dagli estremisti della lotta armata e di rimarcarne l’affidabilità sul piano legalitario.

Alcuni anni fa sua figlia ha raccontato che chiese apertamente a tutti i suoi familiari di sposare la linea della fermezza anche se fosse accaduto a lui.

Certo l’Italia di via Fani di 43 anni fa, è un’Italia messa a durissima prova. Dove lo stato aveva subito un colpo terribile e con una società sconvolta. In un paese diviso con un parlamento che darà proprio quel giorno la fiducia al quarto governo guidato da Giulio Andreotti. Anche con l’appoggio esterno del partito comunista.

Un governo al quale Aldo Moro aveva lavorato per molto tempo dietro le quinte. Convincendo anche la destra del partito guidata dal senatore Fanfani, uomo di ferro della democrazia Cristiana e convinto anticomunista, spesso in disaccordo con Moro. Paradossalmente sarà uno dei pochi ad aprire qualche spiraglio al dialogo per cercare di salvare la vita dello statista democristiano.

Il suo amico Zaccagnini segretario del partito, Andreotti che gli doveva molto anche per questa nuova esperienza governativa e il suo Delfino Cossiga sostennero la linea della fermezza.

Il capo della scorta che morì lì, a via Fani 43 anni fa, era il maresciallo Oreste Leonardi, carabiniere di grande esperienza che da molti anni seguiva Aldo Moro e sembra ne fosse diventato anche confidente ed amico. Pare che più volte Leonardi avesse richiesto misure rinforzate alla scorta del presidente poiché lo riteneva in pericolo, ma le istituzioni credevano che Moro non fosse un bersaglio primario dei terroristi.

Evidentemente Leonardi aveva ragione, anche se purtroppo le ragioni al cimitero non hanno un grosso peso.

 

Leggi anche: Fredy Pacini: il Gip archivia l’inchiesta. Finalmente

www.facebook.com/adhocnewsitalia

www.youtube.com/adhoc

Tweet di ‎@adhoc_news

SEGUICI SU GOOGLE NEWS: NEWS.GOOGLE.IT

Exit mobile version