Quirinale amaro: si profila un Mattarella Bis

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Chi al Quirinale? – Da uomo di Centrodestra confesso di non capire la strategia della mia parte politica. Cominciamo dall’inizio.

In preparazione della battaglia del Quirinale i Capi partito del Centrodestra si riuniscono per indicare collegialmente quale unico candidato -in nome dell’unità della Coalizione- il “federatore” per eccellenza: Silvio Berlusconi. Ribadendo l’impegno a portare sull’alto colle un esponente del Centrodestra, virtualmente maggioritario nel Paese. 

Mentre, sul versante opposto, Letta schiera il Centrosinistra sulla seguente posizione: deve essere la maggioranza governativa ad indicare il futuro Presidente. E il candidato deve possedere il doppio requisito di non figurare palesemente di parte e di saper tranquillizzare un Parlamento che teme solo di essere sciolto anticipatamente. Perché, se è vero che gli Italiani tengono famiglia, i parlamentari tengono soprattutto poltrone. 

La rottura e il rimpasto

E fin qui le rispettive posizioni appaiono assai chiare. Si tratta pertanto di andare alla prima conta, e poi trattare. Vedendo se nel frattempo Berlusconi riesce ad aumentare i voti a disposizione. Poi ecco che improvvisamente (e, ai miei occhi inspiegabilmente) avviene una rottura.

Salvini, su consiglio di un suo autorevole suggeritore, si autoproclama King’s Maker e, sostenendo che Berlusconi non ce la farà mai, dice dì voler dare lui le carte. Bene. A questo punto ci si aspetta che indichi un nome capace dì raccogliere più consensi del divisivo Berlusconi, bruciato prima ancora del fischio d’inizio della partita.

Ed invece no. Preferisce aprire una trattativa sul rimpasto di Governo, sulla base della bizzarra tesi che tutti i Capi partito dovrebbero entrarvi. Il che trasformerebbe però le riunioni dell’esecutivo in un susseguirsi di mini dibattiti parlamentari. Senza peraltro apportare maggiore autorevolezza né al Governo né al Parlamento.

Ma tanto basta per lanciare l’idea dì una rivincita della politica sui tecnici e soprattutto sul super tecnico Mario Draghi, tanto lodato quanto malvisto dalla politica politicante. Idea sulla quale si buttano immediatamente a capofitto i campioni dell’anti-politica: e cioè i Grillini, vedovi dalla dipartita dì Conte dal potere. E da qui in avanti è solo caos.

I nomi del centrodestra

Con il Centrodestra che sforna nomi di persone degne e rispettabili ma prive di consensi superiori a quelli che avrebbe potuto ricevere Berlusconi. Nomi che inoltre vengono sistematicamente respinti al mittente dal Centrosinistra, senza neppure passare dal voto a Camere riunite. Che infatti si disperde su schede bianche e su personaggi improbabili. O nel migliore dei casi su alcuni rari candidati di testimonianza come l’ottimo Crosetto. Fornendo nel complesso una immagine di improvvisazione e di impotenza. 

Il risultato, assai avvilente, è che il Centrodestra finisce con l’essere costretto ad accettare la proposta, avanzata da Letta, di un conclave di entrambi gli schieramenti dal quale far uscire il nome del papabile. E di nomi, sul tappeto, ne vengono posti tre: Belloni, Draghi, Casini. 

Partiamo dal primo, Belloni

Trovo gravissimo il fatto che la politica possa arrivare a pensare di proporre come candidato alla Presidenza della Repubblica il Capo dei Servizi Segreti. Già che ci siamo perché non proporre allora il Capo dì Stato Maggiore delle Forze Armate? Ma stiamo scherzando!? Questa è roba da repubblica delle banane o da pazzi, fate voi. Non a caso tale candidatura piace ai 5Stelle il cui senso delle istituzioni è notoriamente pari allo zero.

Draghi

Il secondo nome, Draghi, è in assoluto il più autorevole e il più adatto. Visto che quello del Presidente della Repubblica è soprattutto un ruolo di garanzia sul piano interno ed internazionale. E però, salvo sorprese, non mi pare il nome vincente.

Certo nessuno meglio di Draghi potrebbe garantire l’Italia sul piano geopolitico, rassicurando gli Alleati, e sul piano economico, tranquillizzando investitori, mercati e istituzioni internazionali. Ma Draghi, mal sopportato dalla partitocrazia, sconta proprio il fatto di essere capace e competente, ossia di essere un gigante in mezzo a dei nani. E perciò, come Gulliver, finisce per non piacere a Lilliput.

Contro Draghi si è inoltre formato un asse Salvini-Conte. Il primo per una sua battaglia personale interna alla Lega tesa a ridimensionare politicamente i ministri leghisti in carica, a cominciare da Giorgetti. Il secondo perché continua a vedere in Draghi colui che lo ha spodestato dal trono di Premier, ma anche perché deve ubbidire alle direttive del filo-cinese Grillo. 

Pier Ferdinando Casini

Della suddetta terna è dunque quello di Casini il nome che potrebbe affermarsi. Anche perché Casini, che piace pure a Salvini, è sin dall’inizio il candidato di Renzi e dei suoi compagni di merenda. Casini non è ovviamente il “nuovo” ma un usato garantito. Che a sua volta, in quanto espressione della partitocrazia, garantisce i Capi partito.

Moderato e dalla lunga storia politica, è sostanzialmente un uomo di Centrodestra eletto alle ultime elezioni dal Centrosinistra in un collegio blindato del PD. A plastica dimostrazione che solo a coloro che nel Centrodestra si fanno subalterni al Centrosinistra vengono assicurati determinati traguardi.

Mattarella bis

Casini Presidente quindi? Sì, potrebbe accadere. A meno che non venga stoppato dalla rielezione di Mattarella, come da più parti si vocifera. 

Resta il fatto che in tutto questo teatrino il Paese rimane costantemente sullo sfondo, inerte ed impotente. I Capi partito parlano di un ritorno in campo della politica. Ma ne fanno solo una questione di potere, lasciando gli Italiani ai loro drammatici problemi quotidiani fatti di rincari, dì bollette e tasse da pagare, di lavoro e di soldi che non ci sono. Per non parlare dei disservizi pubblici e dell’insostenibile continua emergenza sanitaria.

La verità è che la politica non è assolutamente in grado di proporre una qualsiasi idea di sviluppo, di riforma sociale, di futuro. Così come non è in grado dì affrontare seriamente la duplice questione della collocazione geopolitica dell’Italia e del rilancio dell’economia italiana. Bisognosa quanto mai dell’assistenza delle istituzioni europee e della fiducia dei mercati internazionali.

È un vuoto preoccupante. E d’altronde Draghi e i vituperati tecnici non sono stati portati dalla cicogna. Sono arrivati perché non c’era la politica. La quale continua purtroppo a latitare. Non ci rimane che affidarci allo Stellone o probabilmente al Mattarella-bis. La cui riconferma -se avverrà, come alcuni dicono- sancirà il definitivo fallimento della politica, rafforzando ancora dì più il potere dei tecnici a cominciare da quello dì Draghi. Il che, tutto sommato, in questo sfascio può rappresentare un’ancora di salvezza per l’Italia.

Insomma, più che un ritorno della politica in campo, la battaglia per il Quirinale ha semmai registrato un ritorno della politica al camposanto. Lo dico con profonda amarezza. E sul povero e lacerato Centrodestra, partito lancia in resta per suonarle e già tornato suonato, dico semplicemente: stendiamo un pietoso velo.

 

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