La corsa al Quirinale – Nei quartieri spagnoli di Napoli c’è un simpatico signore agli arresti domiciliari che canta dal balcone di casa sua. Calando poi un cestino per rimettersi al buon cuore degli ascoltatori.
Sulle colline di Firenze c’è invece chi scrive lettere, mantenendo così viva una nobile tradizione italica che annovera nomi come Silvio Pellico e Antonio Gramsci. Sta di fatto che la lettera inviata da Verdini a Dell’Utri e Confalonieri è diventata un caso politico, avendo segnato una vera e propria “rottura” nella battaglia intrapresa dal Centrodestra per la conquista del Quirinale.
Solo pochi giorni fa infatti il Centrodestra -riunitosi in conclave- aveva indicato un unico candidato nella persona di Silvio Berlusconi. Sollecitando quest’ultimo a sciogliere quanto prima la riserva. Ed ecco che arriva improvvisamente la lettera verdiniana. La quale suggerisce di fatto al vecchio leader di Forza Italia di farsi da parte. Di incoronare il giovane Matteo Salvini quale “Kings maker” cui lasciare completamente mano libera.
Tant’è che Salvini dichiara subito (e senza bisogno di alcun conclave) di aver già pronta una candidatura che «sarà convincente per tanti, se non per tutti»: Marcello Pera o Letizia Moratti, secondo i cosiddetti bene informati.
Per carità, si tratta di due nomi validissimi. Ma è la strategia a non convincere del tutto. Tanto da suscitare perplessità e qualche sospetto.
Perché convocare la Coalizione inneggiando a Berlusconi Presidente per poi bruciare immediatamente tale candidatura prima ancora che inizino i giuochi a Camere riunite? Perché abbandonare la collegialità della Coalizione per far assumere ad un solo Capo partito il ruolo di “kings maker”? E perché fare tutto questo platealmente, lasciando pervenire alla stampa lettere che presumibilmente dovevano rimanere riservate?
Il centrodestra appare diviso
Il risultato è quello di dare l’immagine di un Centrodestra diviso e disunito. Anche quando è forte nei numeri, e che dichiara una cosa per farne in realtà altre. Certo una mossa del genere può favorire una serie di patteggiamenti, specie col Pd. E difatti si parla già di accordi per un eventuale rimpasto governativo. Teso non tanto a migliorare l’efficienza amministrativa quanto piuttosto ad assicurare l’ingresso di tutti i Capi partito nell’esecutivo.
La qual cosa, dovesse accadere, porterebbe ad una paralisi dell’azione governativa o ad un continuo compromesso al ribasso. Trasformando le riunioni del Consiglio dei Ministri in mini dibattiti parlamentari. Senza contare che tale proposta sembra costruita per imbrigliare o commissariare Mario Draghi. Il che non è proprio quello che serve ad un Paese dalla drammatica situazione economica e sociale.
Insomma, continuando di questo passo, la battaglia del Centrodestra per il Quirinale rischia di farsi alquanto confusa. Peccato.
La verità è che, cambiata la Costituzione materiale (la quale ha visto la figura presidenziale divenire “di parte”, da “notarile” che era), è tempo di affrontare seriamente la questione della elezione diretta del Presidente della Repubblica.
Detto questo e tornando all’attualità, fatico a comprendere perché il Centrodestra, in caso di abbandono della corsa da parte di Silvio Berlusconi, non voglia puntare su Draghi. La cui candidatura metterebbe davvero in difficoltà il Centrosinistra.
Dalla mia parte politica -e cioè dal Centrodestra- avrei francamente desiderato maggiore compattezza, oltre che chiarezza e trasparenza, nella gestione della battaglia quirinalizia.
Che continua invece ad apparire contorta, piena com’è di giuochi ingarbugliati e di giochini più o meno segreti. Con tanti consiglieri interessati che si muovono nell’ombra per fini diversi.
È vero che siamo nella patria del Machiavelli, ma sarebbe bene diffidare dei troppo zelanti imitatori del grande Segretario Fiorentino.
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