Potevamo risparmiarci di votare, tutto è rimasto come prima. È stato un voto confermativo. Nel referendum è stato confermato il voto parlamentare sulla riduzione dei parlamentari, nelle regioni hanno vinto tutti quelli che erano già al governo, a eccezione delle Marche. Voto covid, voto di paura e la paura fa stabilità, voto poco politico ma da lockdown, restiamo a casa per sicurezza. C’è chi gongola dicendo che è stato sconfitto il populismo, ma con quel 70% di Sì contro il parlamento ha una faccia tosta o è duro di comprendonio. Dunque, chi ha vinto? Quelli che già c’erano. Incluso Conte.
Chi ha perso? Sicuramente Matteo Renzi, reso ovunque irrilevante, marginale. Ha confermato la sua discesa costante dall’agosto ’19 anche l’altro Matteo, perde un colpo dopo l’altro e dovremmo fare un discorso serio sul centro-destra. Ha avuto una vittoria di Pirro Gigino Di Maio col “Taio”: ma lì ha vinto il populismo allo stato brado, sfuso, gassoso, antipolitico, anticasta inclusi i grillini, risentito contro i parlamentari e i loro emolumenti. Invece nel voto, i grillini da partito di maggioranza sono scesi a terzo, quarto partito, pesano sempre meno e marciano spediti verso il nulla.
A tirare le somme, direi un voto fesso. Si, fesso, come il rumore sordo delle cose incrinate, spaccate in due, come questo tre a tre che ci consegna un paese spaccato in due, con 15 regioni su 20 al centro destra e il governo ai grillosinistri. Ma fesso anche nel senso di stupido, insignificante, sciocco. Perché non dice nulla sul futuro, non dà indicazioni, fotografa uno stato presente. Fessa è stata la campagna elettorale, fessi gli slogan e le sparate dei leader; fessi molti candidati vincenti e perdenti.
E fessi non nel senso buono di chi si autodefinisce fesso per dire per bene e in buona fede, o come indicò Giuseppe Prezzolini quando divise l’Italia in furbi e fessi. No, qui il fessacchiotto furbeggia, fa il furbetto, o perlomeno si butta sotto l’ala protettrice dei furbi. Un voto statico più che stabile, per paura che risalga il contagio. Non fate movida, non viaggiate, non partite, non cambiate, ciascuno resti dov’è. Non respirate, così il virus non si accorge di voi.
Però, lasciatemi dire una cosa: tutti ci saremmo risparmiati questi pipponi sul voto, queste analisi e questi scenari, se solo fosse accaduta una cosa che in tanti si aspettavano, compresi gli interessati: se in Puglia avesse vinto Fitto col centro-destra e avesse perso EmiIiano a cui gli avevano sparato contro candidati grillini, candidati renzini – d’ora in poi vista la consistenza si adotti il diminutivo – come quello Scalfa/rotto.
E che aveva contro di lui il declino verticale di una regione fino a ieri ammirata e invidiata: la morte degli ulivi e delle campagne, la tragedia di Taranto, il crollo della Banca popolare di Bari, il crollo dell’industria – prima dell’Ilva, la Stanic di Bari, il Petrolchimico a Brindisi, l’Enichem a Manfredonia – più una serie di sciagure ferroviarie e sociali. C’erano tutte le condizioni per un cambio di guardia.
E c’era l’antica tradizione moderata, conservatrice, destrorsa della Puglia, e la solitudine di Emiliano in fondo sopportato dallo stesso Pd perché fuori dalle righe, anzi fuori formato. Non come l’immaginifico De Luca, ma quasi. Fitto poi era un candidato rassicurante, per bene, di esperienza e competenza, lo ha riconosciuto pure Emiliano, una persona per bene anche se gli ayatollah giustizialisti lo trattavano come un delinquente.
Se, come dicevano i sondaggi pubblici e più ancora quelli sommersi, avesse vinto Fitto, oggi la sinistra non canterebbe vittoria, Conte non alzerebbe la cresta, non si parlerebbe di stop al centro-destra. Il 4 a 2 sarebbe stato il risultato che tutti in fondo si aspettavano, anche a sinistra. La spallata in Toscana era un sogno troppo bello per il centro-destra, ma qui la sinistra marca il territorio come solo in Emilia e Romagna, fa pressione, controlla i seggi, insomma è un potere radicato. Non dirò mafioso, ma radicato come il vecchio Pci. Ha ancora un apparato, una rete di interessi, è difficile da espugnare. Magari ti riesce in un comune, ma non quando la partita investe Firenze e l’intero granducato. E poi quella concorrente…
Ma la Puglia no. Era una sfida aperta e l’esito, visto il clima, sembrava in favore di Fitto. Qui è intervenuto il Mistero di San Nicola, il Santo protettore di Bari. Da quindici anni, ormai, si ripropone la sfida Bari-Lecce e alla fine San Nicola vince su Sant’Oronzo, patrono leccese. La rivalità non solo calcistica tra le due città è nota; ma nota è pure la diversità delle Puglie, che sono almeno tre. Dal punto di vista etnico possiamo dire che i peuceti e i dauni uniti hanno sconfitto i messapi, la Puglia salentina soccombe, per inferiorità numerica, all’altra Puglia. Non ho sottomano i dati precisi, ma è una scena che si ripete.
I candidati leccesi, Fitto o i fittiani, perdono sempre con i Vendola e gli Emiliano, anche per questo dato geografico. Non riesco a trovare spiegazioni migliori. Sì, Fitto non scalda, soprattutto chi viene dalla fiamma; in fondo è democristiano nell’anima, è un notabile; sa amministrare, non ha mai avuto colpi d’ala o colpi di testa; è persona corretta, salvo le pretese egemoniche e campanilistiche del notabile, è rigoroso nei conti, e pure onesto, checché ne dicano; ma non sa comunicare, non riempie la scena come quell’armadio a quattro ante e quattro stagioni di Michele Emiliano, l’Istrione, il Profeta della Cozza Pelosa. E gli ex voto cantano per lui “il braccio di Santo Michele come mi odora come mi odora”…
Tutto, alla fine, si è giocato a Bari. Il dato che ha fatto cambiare le carte e le interpretazioni è quello pugliese. Poi, magari, anche in quel caso non sarebbe cambiato nulla, col 4 a 2 non sarebbe venuto giù il governo, l’alleanza grillo-sinistra, e il resto. Alla fine ha prevalso, per la quarta volta consecutiva, il Mistero Fitto di San Nicola.
MV, La Verità
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