REFERENDUM – Non c’è dubbio alcuno. Il risultato del referendum ha solo rafforzato il potere della magistratura. Un disastro che accentua ulteriormente l’irrilevanza di una politica tanto mediocre quanto superficiale. Politica che, del resto, ha da tempo abdicato al proprio ruolo di guida e di indirizzo. Prendersela però con gli Italiani che, sbagliando, hanno preferito una giornata al mare serve a poco. Ed è anche francamente ingiusto. Visto che, inascoltati o respinti dalle istituzioni, vengono continuamente spogliati della loro sovranità. E visto anche tutto quello che devono sopportare, sul piano economico e sociale, per colpa di classi dirigenti incapaci. La verità è che i primi a non credere nel referendum e a non battersi sufficientemente per esso sono stati proprio i suoi promotori.
GIUSTIZIA MAI AL CENTRO DEL DIBATTITO
I quali, dalla raccolta delle firme in poi, non sono mai riusciti a porre al centro del loro agire politico la questione della giustizia. Lasciandola sempre sullo sfondo, quando addirittura non in disparte. Tanto che persino in questi giorni abbiamo visto esponenti di partiti promotori correre a sostenere candidati alle amministrative nei più sperduti paesini. Senza adoperarsi con egual impegno a sostegno delle ragioni del Sì. La mancata pubblicizzazione del referendum ricade poi, in certa qual misura, sui suoi promotori. Che non si sono minimamente preoccupati di organizzare una adeguata rete di informazione. Né tantomeno di assicurare una efficace copertura mediatica ai quesiti referendari. Lasciamo stare la Rai diventata ormai l’Istituto Luce di questo regime. Ma le televisioni berlusconiane che informazione hanno dato? Che notizie in merito hanno fornito? Che dibattiti hanno trasmesso?
CAMPAGNA REFERENDARIA SURREALE
La conseguenza è stata una campagna surreale condotta in silenzio, quasi clandestinamente, nel vuoto politico più assoluto. Per cui si è fatta strada l’impressione che il referendum sia stato promosso per coprire il fianco dei partiti da accuse. Piovute loro addosso soprattutto all’indomani del compromesso realizzato in Parlamento sulla riformetta Cartabia. Un espediente da politicanti, insomma. Una strumentalizzazione bella e buona del tema della giustizia. La cui pessima amministrazione continua ad essere una piaga aperta sulla pelle del Paese. Per dirla altrimenti, tra la gente è maturato il convincimento che la politica non ha saputo o voluto fare in Parlamento una seria riforma della giustizia. E che abbia perciò messo in moto la macchina del referendum. Un po’ per cercare un’altra occasione. E un po’ per coprirsi le spalle, rimandando la palla agli elettori.
REFERENDUM UN FLOP ANNIUNCIATO
Una fuga dalle proprie responsabilità che ha alimentato la generale fuga dalle urne. Non c’è allora da stupirsi della bassa percentuale di votanti. La storia di questo referendum è in fondo la cronaca di una morte annunciata. Recriminare o lamentarsi è inutile. I promotori del referendum ed il Centrodestra tutto dovrebbero semmai cogliere l’occasione per aprire una approfondita riflessione autocritica. Su tutta una serie di scelte effettuate e di errori compiuti. Rinnovandosi al contempo nei contenuti e nel personale politico. E indagando seriamente le ragioni della disaffezione degli Italiani dalla politica. Disaffezione crescente che produce astensionismo, sfiducia e rabbiosa rassegnazione. C’è bisogno di ripensare la politica in quanto tale. C’è bisogno di rifondarla attraverso un nuovo e diverso rapporto con i cittadini.
IL COMPITO DEL CENTRODESTRA
E questo è un compito che spetta al Centrodestra. I cui valori basici si fondano sull’idea di un primato della politica. Perché sul Centrosinistra, che è il partito della conservazione pura e semplice del sistema, non si può fare certo affidamento. Esso si è ormai completamente sottomesso ai poteri della finanza e della magistratura. E su tale sudditanza fonda cinicamente la propria seppur limitata potestà. Per la soddisfazione delle sue clientele. Quanto successo infine a Palermo, dove la vergognosa latitanza di diversi presidenti di seggio ha compromesso l’esercizio elettorale, porta ad altri preoccupanti interrogativi. Riguardanti la reale tenuta dello Stato repubblicano. Incapace persino di assicurare a tutti e dappertutto il diritto-dovere del voto. Un fatto inaudito che suggella il disastro democratico di questa “maledetta domenica”.
Paolo Amato
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