In tutta Italia, ovunque governi la sinistra o anche i grillini, c’è una sacra icona che non può essere rimossa neanche dopo anni e anni: lo striscione su Giulio Regeni, il ragazzo che scriveva su Il Manifesto, barbaramente assassinato in Egitto.
Lo striscione di Regeni pende dai palazzi di città, campeggia su torri e balconi, a volte si accompagna alla sua immagine. E guai a chi osa rimuoverlo, come fece il governatore Fedriga a Trieste, sei considerato quasi un complice dei sicari, comunque un blasfemo, un profanatore di reliquie.
La sua tragedia, è inutile dirlo, grida giustizia: Regeni fu torturato e ucciso perché ritenuto una spia o un collaboratore degli oppositori al regime egiziano, i suoi sicari e mandanti sono ancora impuniti e non si sono appurate eventuali responsabilità del college inglese che lo mandò allo sbaraglio… Ma sono passati tre anni e quegli striscioni, ormai alterati dal sole e dalle intemperie, risultano vani reperti di una mobilitazione politica a perenne memoria. Sappiamo che alla causa di Regeni si è votato con abnegazione e fervore mistico il presidente della Camera Roberto Fico, diventando una specie di ministro del culto del ragazzo ucciso, facendone la sua missione suprema e la sua ragione morale di vita politica.
Ora noi sappiamo che d’italiani sequestrati e uccisi, spesso senza un perché, ce ne sono stati tanti in questi anni, ma sono stati dimenticati anche perché nessuno di loro risultava di sinistra o collaborava a un quotidiano di sinistra. Ci sono stati persino religiosi trucidati a cui non è stata mai resa giustizia, o altri che risultano ancora in mano ai rapitori senza alcuna mobilitazione politica. Il caso di Padre Paolo Dall’Oglio, per esempio, è ancora misteriosamente aperto e magari c’è ancora la possibilità pur tenue che si faccia qualcosa per liberarlo dagli assassini di Daesh. Ma non c’è mobilitazione per lui. Eppure lui era un missionario, agiva davvero a fin di bene. E tante vittime inermi, ragazze e bambini, di cui non si è ancora trovato o punito il colpevole, ci sono state in Italia, ma non c’è nessuno striscione in loro favore.
Prima di Regeni era stata la destra a tappezzare di striscioni alcuni luoghi pubblici per sostenere i due marò, La Torre e Girone, imprigionati in India con l’accusa di omicidio. Iniziativa magari pur essa discutibile ma in quel caso si trattava di due persone ancora vive, e dunque la campagna per sensibilizzare governi e opinione pubblica aveva un senso; e forse qualche effetto lo ebbe, perché alla fine furono liberati.
In questo caso, invece, lo striscione è una specie di ex-voto, di edicola votiva, che serve – diciamo la verità – per appagare l’identità collettiva e politica di chi la espone e in suo nome si mobilita. E per farlo diventare un martire contro “ogni fascismo”. Al limite, potrebbe avere qualche efficacia la proposta dei genitori di Giulio, di ritirare l’ambasciatore italiano dall’Egitto fino a che non si fa chiara luce sul delitto e non si puniscono i colpevoli.
Ma l’uso politico e simbolico che si fa di Regeni e della sua icona, serve a piantare la loro bandierina sulle istituzioni e a nutrire l’immaginario collettivo tramite qualche Vittima del Sistema – come è stato il caso di Stefano Cucchi, o in passato di Carlo Giuliani, per non dire del Vittimario imbastito sui i migranti. Così viene alimentata una specie di religione politica ed emozionale, coi suoi riti, i suoi santini, le sue stazioni votive, i suoi martiri, i suoi racconti sacri, la sua liturgia civile.
Qui vorrei sottolineare un paradosso della nostra epoca laicista e irreligiosa: è trattato con aria d’ironia e di sufficienza chi si dedica alla preghiera o al rosario, si sprecano risatine se fai dire messa ai morti, se preghi per i defunti, o se fai un voto o un fioretto. Ma sono forse più reali e razionali, e più efficaci, le fiaccolate per liberare un ostaggio, le firme contro la violenza, le marce per la pace, i sit-in contro le stragi, gli striscioni in memoria? Credete che servano a qualcosa, fermino o dissuadano i criminali, sensibilizzino le autorità, producano risultati? Nessuna marcia della pace ha mai fermato una guerra. E non ha mai indebolito un paese belligerante (se non il proprio).
Tra una novena alla Madonna e una veglia per Regeni, sul piano reale e razionale, c’è qualche differenza? Uno striscione per punire gli assassini ha più possibilità di avere successo di un viaggio della speranza a Lourdes? Servono davvero a qualcosa i cortei, le veglie e gli striscioni, o sono puri atti liturgici che rispondono a una fede e ai suoi riti? Sono solo simboli di appartenenza e cerimonie votive.
Qui viaggiamo tra due paradossi: è assurdo che il caso Regeni sia l’unico negli ultimi anni a suscitare mobilitazione in tutto il territorio nazionale e a campeggiare negli edifici pubblici; ma sarebbe pure assurdo se per ogni delitto rimasto impunito si esponesse uno striscione come monito e memoria. Saremmo sommersi da striscioni, ci sarebbe la guerra tra tante conventicole: quelli che ricordano la ragazza stuprata e uccisa dai nigeriani, quelli che ricordano il missionario italiano sequestrato e ucciso dai fanatici musulmani, quelli che ricordano le vittime di femminicidio o di infanticidio, o le vittime di drogati recidivi, stupratori seriali o migranti criminali, non sbattuti in carcere o spediti a casa loro ma rimessi in libertà e dunque messi in condizione di reiterare i loro crimini. Quante mobilitazioni dovremmo fare per tutti questi casi, quanti striscioni, gigantografie dovrebbero tappezzare i nostri palazzi civici? Via, siamo seri, non striscioni ma opere di bene.
MV, Panorama n. 29 (2019)