Matteo Renzi ha deciso di bruciare i tempi. Non attenderà la kermesse della Leopolda, fissata per il 18 ottobre, per far scattare quella che chiama «separazione consensuale» dal Pd. «Ormai l’idea è nell’aria e non la si ferma», spiega l’ex premier ai suoi, «sento l’entusiasmo della nostra gente. E non farò di certo un partito di centro o una nuova Margherita. Farò un partito totalmente innovativo, una cosa che non si è mai vista in Italia». In tre parole: «Farò una renzata».
Renzi viene descritto «gasatissimo» e «decisamente in palla». Impegnato a lavorare al nome della sua nuova creatura che sarà un cocktail tra Italia del sì, Italia in crescita.
Per prima cosa, però, il senatore di Rignano vuole tranquillizzare il premier Giuseppe Conte e il leader dei 5Stelle, Luigi Di Maio: «Conte già l’ho sentito e gli ho spiegato che la mia è un’operazione in amicizia che non vuole in alcun modo mettere a rischio di nuovo governo. Del resto se c’è questo esecutivo il merito è mio, sono stato io a far capottare Salvini…», confida a chi insieme a lui sta lavorando al nuovo partito. E aggiunge: «Però nei prossimi giorni voglio incontrare personalmente Conte per dargli tranquillità. E se non sarò io, sarà Marattin a incontrare Di Maio per rasserenare pure lui. Noi scherzi non ne facciamo».
L’obiettivo di Renzi, che non farà né la gioia dei 5Stelle, né tantomeno quella del Pd, è entrare a pieno titolo e in completa autonomia tra gli azionisti della nuova maggioranza. Con insegne, bandiere e capodelegazione nel governo: la ministra all’Agricoltura, Teresa Bellanova. Con la possibilità, perciò, di incidere sia nelle scelte che di volta in volta dovranno essere compiute dall’esecutivo, sia nella partita delle nomine che si aprirà in primavera quando dovranno essere scelti i nuovi vertici di Eni, Enel, Leonardo, Poste, Terna, etc.
«Ma non vengano a dirci che la nostra è un’operazione di palazzo», arringa i suoi Renzi, «la narrazione di Zingaretti & C. è falsa. La nostra sarà un’operazione di popolo, altro che di palazzo. Ci sono già migliaia di comitati civici pronti a partire». Soprattutto sono già operativi i comitati Sempre avanti, tirati su da Roberto Giachetti e da Anna Ascani durante la corsa per le ultime primarie.
L’altro punto su cui batte l’ex premier, quello che lo fa parlare di «separazione consensuale», è che con la nascita del nuovo partito «si toglie un alibi: sono stufo di fare il parafulmine, di essere indicato come quello che rompe tutto, frena, sabota e che è divisivo. Tanto più che non ho intenzione di portargli via i gruppi, me ne andrò via con un groppuscolo. Non farò campagna acquisti.
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Mi bastano una ventina di deputati per fare gruppo alla Camera e a palazzo Madama una decina di senatori che, se riusciamo a far passare un’interpretazione estensiva del regolamento del Senato, utilizzando ad esempio il simbolo del Psi di Nencini o quello di Scelta civica che si sono presentati alle elezioni, potranno costituire un gruppo autonomo pure lì».
Secondo Dario Franceschini e Andrea Orlando, impegnati con Nicola Zingaretti a evitare la scissione, se Renzi parla di «groppuscolo» è perché «la sua campagna di arruolamento va a rilento. Stenta». E perché se portasse via troppi senatori dal gruppo dem, il capogruppo Andrea Marcucci (renziano doc) potrebbe essere immediatamente sostituito. L’ex premier invece boccia questa pista: «Lo faccio perché non voglio far male a nessuno. E perché, tempo qualche settimana, appena me ne sarò andato via io, nel Pd entreranno D’Alema e Bersani. Dunque, tolgo il disturbo».
Non manca un riferimento a Franceschini che, da Cortona, ha lanciato un appello a restare nel partito («il Pd è casa tua»): «Dario è il primo a dover essere felice della nostra scelta», sostiene un renziano di alto rango, «gli resta il partito in mano. Il capo del Pd ormai è lui, mica Zingaretti. E Guerini e Lotti, una volta che ce ne saremo andati via noi, dovranno per forza di cose entrare nella corrente di Franceschini. L’attuale separazione non avrà più senso».
Di certo c’è che se il governo rosso-giallo è nato, il merito va diviso tra Renzi e il ministro della Cultura, vero artefice della difficilissima trattativa con Conte e Di Maio. Ed è altrettanto certo che, per scongiurare la scissione, c’è chi ha proposto a Giachetti di diventare presidente del Pd.
Alberto Gentili per il Messaggero