Resistenza. Usi e abusi
Tra pochissimi giorni sarà il 25 aprile. Quest’anno, tra l’altro, non sarà una Festa della Liberazione come tutte le altre perché ricorrono nientemeno che gli 80 anni dal giorno in cui la Resistenza dei Partigiani contribuì in maniera significativa alla sconfitta del nazifascismo
Resistenza. Da otto decenni ci insegnano che la Resistenza ha un valore positivo, impregnato di coraggio e soprattutto di spirito di sacrificio, poiché fu una lotta all’ultimo sangue in cui uomini e donne, di tutte le età e anche giovanissimi, sacrificarono spesso la loro vita con l’unico altissimo scopo di difendere i valori della democrazia e della libertà, contro l’oscurantismo della dittatura liberticida.
Tutte cose che sappiamo bene, no? La Resistenza è senza dubbio un pilastro fondamentale su cui poggia la Storia occidentale tanto che fin da bambini ci hanno insegnato le grandi prodezze dei partigiani
E di sicuro, dal secondo dopoguerra in avanti, quello della Resistenza è diventato un elemento fondante della nostra coscienza italiana, un qualcosa che non avrebbe mai potuto essere offuscato o messo in discussione, fisso nella nostra mente come monolite della lotta all’oppressione.
Ma ne siamo sicuri?
Da qualche tempo a questa parte sembra che la parola “Resistenza” sia sempre più asservita agli scopi più disparati e orribilmente bassi. Ma molto bassi. Scatta una certa insofferenza, in molti ma purtroppo non in tutti, quando si vede accostare la parola “resistenza” a fenomeni che di resistenza non hanno proprio niente.
Stiamo parlando, per esempio, del terrorismo, che si camuffa da resistenza – volutamente minuscolo – e l’unica cosa che fa è abusare di tutte le narrazioni legate alla Resistenza, quella vera, con il fine di manipolarle a puro scopo propagandistico
Resistenza usata come propaganda. Assurdo.
Sebbene possa sembrare che si intenda parlare di come alcune fazioni stiano letteralmente scippando la nostra ricorrenza del 25 aprile, affiancando questa data e le parole “resistenza” e “partigiano” all’immagine di un jihadista faccia coperta “akkeffiato”, provvisto di fucile, in mezzo a fiori di campo – tra cui spiccano i papaveri – e lo slogan “e questo è il fiore del partigiano”, non è così.
Sebbene possa sembrare che si voglia parlare di come questa commemorazione ci sia stata quasi scippata con il benestare di associazioni fondate dai partigiani stessi, non è così
E nemmeno si intende lamentare come scippate sono state anche le nostre partigiane, piazzate su manifesti guancia a guancia con terroristi rigorosamente a viso coperto, con tanto di bandierone rosso, nero, bianco e verde alle spalle, in un esempio di appropriazione storica allucinante, a cui nemmeno i teoreti della propaganda sarebbero mai potuti approdare.
No. Oggi protagonista non è il Medio Oriente ma lo sfavillante e democratico Nord Europa che, a quanto pare, da questo punto di vista non è mai stato così tanto sfavillante. Ecco allora che il 20 aprile, dobbiamo immaginare in occasione del 136° anniversario della nascita di Adolf Hitler, lungo un tratto di autostrada nei pressi di Stoccolma sono comparse per circa venti minuti, prima che la polizia le rimuovesse, delle bandiere naziste
Stendardi su cui spiccava la croce uncinata e che hanno rievocato non poche sinistre analogie con il passato.
L’episodio ha scatenato l’indignazione di molti, compresa quella prevedibile e sacrosanta dell’ambasciatore israeliano nella capitale svedese, cui noi aggiungiamo una domanda: ma a cosa sono serviti ottant’anni di Liberazione se nel 2025 dobbiamo ancora vedere certi scempi per le nostre strade europee?
Purtroppo non c’è da stupirsi che il fenomeno si sia manifestato proprio in Svezia. E non c’è nemmeno bisogno di scavare troppo a fondo e andare a scomodare politiche di immigrazione verso la patria dell’Ikea, almeno non da subito – sebbene proprio in Svezia abbiano portato a non poche tensioni sociali e a episodi estremi come quelli dei Corani bruciati
A quanto pare in Svezia i fanatici del Reich escono anche dai muri. Infatti vanta una tradizione di nostalgia nazista, manifestatasi fin da pochissimi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Risale al 1956 la fondazione del Nordiska Rikspartiet, il Partito del Reich nordico, nato per proseguire la “lotta nazional-socialista”. Sembra folle pensare che il partito del Reich Nordico, con la sua croce celtica nera in campo rosso, si sia dissoluto solo nel 2009.
L’immigrazione promossa dai governi svedesi, tuttavia, pare comunque aver alimentato questo sentimento suprematista bianco portando, e qui ci risiamo, alla nascita di movimenti per la “resistenza” dal chiarissimo sapore neonazista
E se ancora non fosse abbastanza sconcertante leggere il termine “resistenza” legato al neonazismo che tanto ha contrastato, ecco fare capolino il movimento di “resistenza ariana bianca svedese” (Vikt Ariskt Motstånd), sulle cui ceneri alcuni dei suoi membri diedero vita, intorno alla metà degli anni ’90, al “movimento di resistenza svedese”.
Come dicevamo, i temi in materia di sicurezza e immigrazione hanno avuto un ruolo in questo delirio, infatti proprio su di essi si sono fondate le “fortune” del Nordiska Motståndsrörelsen, movimento di “resistenza nordica” che ha preso piede in alcuni paesi scandinavi a partire dal 2015. E in Svezia, con il nome locale di Svenska Motståndsrörelsen, è animato proprio dal “potere” bianco – o supremazia bianca che dir si voglia
Ma ciò che accade in Svezia è solo una piccola parte di quello che avviene nel mondo occidentale.
Possiamo continuare a tollerare che il concetto di “resistenza”, un termine che come molti altri ha assunto un valore nuovo e ben definito dopo la Seconda Guerra Mondiale possa venir deturpato da fenomeni che ne negano e sporcano il valore intrinseco di lotta per la libertà e la democrazia? La risposta è no. Mai.
Teniamo dunque a mente le parole di Giacomo Ulivi, fucilato a Modena dai fascisti nel 1944 all’età di 19 anni: “Pensate che tutto è successo perché non ne avete voluto sapere”
Viva il 25 Aprile!