Eccomi qua. Il freddo penetra attraverso il casco in una umida notte della Carinzia.
Oppure le stelle di una calda serata greca senza costrizioni, né limitazioni, con una tenda e la stessa moto di oggi in riva al mare del Peloponneso, studiato per anni in compagnia del Rocci di famiglia. Vecchi vocabolari di Greco antico di cui da ragazzino mi vergognavo, invidiando quelli più nuovi dei miei compagni di classe. E che ora troneggiano nella mia libreria di casa, con l’orgoglio delle loro pagine ingiallite.
Si cambia con il passare degli anni, i punti di vista mutano, con essi nascono i primi rimpianti.
Stelle che brillano kantianamente sopra di me: non posso non alzare la testa verso di loro, che intravedo splendere oltre..sopra tanti visi, tante persone, tutti intorno a me.. Il senso di intimità ed individualità che mi trasmette la mia moto è unica: introspezione, riflessione, quasi una sensazione di galleggiare in una dimensione altra, diversa..nel casco si assiepano pensieri che nascono, mutano, scompaiono.
Pur in formazione con altri motociclisti, che chiamo fratelli, l’individualità del mezzo mi rende solo in mezzo ad un gruppo. Solo con i miei pensieri, pur in compagnia.
Finalmente ad un tratto eccola là, la grande curva, larga, netta, regolare, rotonda.
Pieghiamo un po’, guardiamo lontano e mentre sterziamo e contrastiamo in leggero controsterzo, lasciamo scivolare la ruota dolcemente, dosiamo il gas accelerando gradualmente..se è ben impostata lo sapremo solo all’uscita..e se è scritto che dobbiamo cadere, lo faremo insieme..sapremo rialzarci masticando una bestemmia che ha la solennità di una preghiera.