Rocco Siffredi – Ci vuole del talento per vincere, a 57 anni quasi compiuti, il premio Nobel del Porno, ovvero gli Avn Awards, con ben due allori: come «miglior interprete maschile straniero» e per la «miglior scena a due». Affondato in una maestosa sedia girevole nel suo ufficio di Budapest, dove vive da 25 anni («per il mio lavoro è il best of the world»), Rocco Siffredi si dichiara sinceramente lusingato dalla chiamata del Corriere della Sera e ha voglia di raccontare.
Com’è cominciata?
«Da ragazzino, dall’ età della masturbazione, sono stato letteralmente folgorato dai giornalini porno e ho subito capito che avrei fatto il pornostar: c’era solo il come sarà e dove sarà, ma ero sicuro».
Che giornali erano?
«Era Supersex di Gabriel Pontello, che poi incontro in un locale di scambisti, e lì comincia la mia storia».
A Parigi?
«Yes. All’inizio facevo il cameriere alla Pizza Pino, agli Champs Elysées, e dopo un breve periodo sono andato a lavorare da mio fratello, che dirigeva la catena di ristoranti Casa Nostra, di fronte alla Tour Eiffel».
I suoi genitori?
«Due grandi genitori che augurerei a chiunque, di quelli che prima di tutto sono per la felicità dei figli e che insegnano i valori importanti. Se non mangiavo mio padre mi rompeva i piatti in testa, se mancavo di rispetto alla zia mi prendevo due sberle, soldi in tasca pochi… Eravamo sei figli, e mia madre doveva risparmiare. Quando hanno capito che volevo fare questo lavoro, ho trovato due complici».
Non le hanno posto nessun ostacolo?
«Nel nostro palazzo di Ortona c’era gente che criticava mia madre: ma come fai a sopportare una cosa del genere? Rispondeva: senti, io gliel’ho fatto così… e ci fa quel che vuole (ride). Vedeva che quando tornavo a casa ero sempre lo stesso, e il resto non contava. Aveva già sofferto tanto e io non le avrei mai dato altri dispiaceri».
Il figlio morto?
«Yes… Dall’ età di sei anni ho vissuto con una mamma impazzita dal dolore. Quando mi rompeva la roba addosso, pensavo che da qualche parte quel dolore doveva pur sfogarlo. L’ho sempre capita, fino a quando se n’ è andata per una cirrosi epatica dovuta a un’ epatite non curata durante la guerra. Mi ricordo che la abbracciavo e lei mi mordeva il collo e mi graffiava perché non mi riconosceva più…».
In che anno è morto suo fratello?
«Nel 1971, aveva 12 anni. Claudio era epilettico e morì soffocato nel sonno per una crisi. Ero all’ ultimo anno dell’asilo, quando un giorno vengo prelevato da una signora che non conosco, mi porta a casa e sento gridare… Era mia madre. Mi ricordo mio padre che arriva con la vespetta e il cappellino da cantoniere, guarda in alto verso il balcone con uno sguardo che non potrò dimenticare: aveva capito subito».
Altri ricordi d’ infanzia?
«Sempre quel giorno. Claudio morto: l’altro fratello è lì a mangiare i confetti che sono stati cosparsi sul corpo di Claudio, come si usava una volta in Abruzzo. Io che mi ritiro in un’altra stanza piangendo a scoppiare, uno a uno, i palloncini rimasti da una festa di qualche giorno prima. Tutto questo nel caos di parenti».
Era una famiglia numerosa?
«Il mio nonno materno avrà avuto 23 o 24 figli… Faceva l’allevatore di tori da monta e morì incornato mentre rafforzava le catene. Pare che nei periodi di magra i tori facessero sangue nero, una malattia che li rendeva pazzi…».
Vecchia famiglia italiana piena di guai…
«Il vero pilastro era la mamma, era lei che si occupava di portare per ospedali Claudio a Milano e a Roma, da quando a due anni, alle case popolari, si prese una mazza di ferro in testa da un altro bambino. Da lì pare che gli venne l’epilessia per l’ematoma. Mentre papà, per carità, era un gran padre ma molto passivo, l’unica cosa che faceva davvero bene era andare a cercar donne… Da qualcuno avrò preso… Una passione in comune tra padre e figlio…».
Ancora oggi resta una passione?
«Certo, ma la bella notizia è che sto invecchiando… Io mi sono ritrovato con mille problemi fisici già a vent’anni, quando in moto ho fatto un brutto incidente, mi sono frantumato tutto, dovevo morire… La macchina mi ha tritato le braccia, ho dovuto mettere delle protesi alle spalle, mi sono operato più volte… Ho avuto tantissimi anni di sofferenza fisica di giorno e di notte… E mia moglie si lamenta (ride)».
Si lamenta per i suoi dolori?
«Yes. Dice sempre: ogni donna vorrebbe avere Siffredi a letto, ma lui dà tutto sé stesso sul set e i suoi dolori me li prendo io… È la pura verità. Sul set passava tutto, il porno è stato il mio antidolorifico naturale».
Vale ancora adesso come panacea?
«Tanti mi chiedono ma come fai ancora a fare queste performance… La verità è che non vorrei mai arrivare a dire che non ce la faccio più… D’ altra parte da qualche anno mi guardo allo specchio e mi dico: ma che ci fai tu con le ventenni… Non mi sento più a mio agio davanti al corpo di una ragazza…».
La vecchiaia le fa paura?
«Forse ha ragione Roberto D’ Agostino quando mi dice: Rocco, tu vai al di là del tuo corpo, tu sei un mito pop… Comunque da un po’ sto girando pochissimo e solo film di grande produzione. Le ragazze fanno la fila per lavorare con Siffredi, non vedono il lato estetico che vedo io su di me. Se poi ti premiano ancora come miglior interprete straniero, ti dici: forse manca la concorrenza…».
I giovani non valgono quanto lei?
«Mi odieranno, ma il dato di fatto è che ancora nell’ era del tutto gratis, in un mondo come il porno in cui praticamente non ci sono diritti d’ autore, io porto a casa un bel po’ di soldini…».
Lei è molto ricco?
«Se paragonato ai pornostar sono ricchissimo, ho uno studio qua a Budapest di centomila metri quadri, lo chiamano la Cinecittà del porno. Se ti affittano casa per girare un film e ti dicono “non mi sporcare il divano…”, come fai! Meglio avere uno studio in proprio. E solo un pazzo come me poteva farlo… Una scuola, un’accademia dove insegnare il porno, non è un gioco, e neanche megalomania, io ci credo davvero. Se ho fatto tutto questo, l’ho fatto per passione. Avrei pagato per fare questo lavoro».
Com’ è andata con i suoi due figli per far capire il suo mestiere?
«(Ride) È la domanda classica dell’uomo italiano che si fa mille pippe mentali. Io mi sono trasferito in un altro pianeta. L’ importante è non far finta, non giustificarsi. È stato semplice: ho avuto una compagna super intelligente, che si chiama Rosa e non ha mai cercato di farmi cambiare idea. Abbiamo fatto la strada insieme. I miei figli dicono che sono fortunato a fare quel che mi piace nella vita…».
L’educazione sessuale serve o è meglio fare le proprie esperienze da soli?
«Tanti uomini non riescono a parlare di sessualità neanche con la moglie, figurarsi con i figli. Il risultato è che i ragazzi vengono su guardando il porno, è vero che non è una novità, ma oggi ci sono i video negli smartphone… Siamo noi gli educatori sessuali, sovradimensionati e capaci di fare sesso per ore. E questo non fa che generare insicurezze, perché nessuno si prende la briga di spiegare ai ragazzi che il nostro lavoro è finto, costruito, da professionisti… I ragazzini mi riconoscono e su 100 gli habitué sono almeno 80».
Bisognerebbe fare lezioni su come affrontare il mondo del porno?
«Pensi che in Turchia sono testimonial con una super pornostar americana per degli spot in cui spieghiamo la protezione, la prevenzione, il consenso, il fatto che la pornografia è intrattenimento e non può essere educazione sessuale. Tutto l’Islam è impazzito per questa pubblicità. L’ho proposta da noi, ma certi presidi hanno detto: grazie, non prendiamo lezioni da Rocco Siffredi. Forse abbiamo il Vaticano troppo vicino, ma le assicuro che la Chiesa mi adora (ride)».
Lei ha mai conosciuto il senso di colpa?
«Per vent’ anni mi ha creato gravi problemi. Mi dicevo: tu ti diverti e tua moglie è a casa con i bambini… In realtà ero lì a realizzare le fantasie degli altri».
Ha detto tante volte che avrebbe smesso.
«L’ho detto tre volte e tre volte ho ricominciato. Non lo dirò più. Lascerò il porno, ma il sesso non mi abbandonerà mai, dirigerò le mie energie su una sola donna, mia moglie, e sarà molto bello. Lo auguro a tutti i mariti che cornificano le mogli».
Nessuna sensazione di overdose?
«No, il sesso resta ancora la cosa più bella, è forse l’80% di tutto quel che mi piace nella vita. Adoro la pasta in bianco olio e parmigiano, mangerei quella tutti i giorni… Se mi vuoi mettere in crisi, fammi la carbonara… Non sono mai stato dipendente da altro che dal sesso: niente droga, niente alcol».
Con il #metoo cos’ è cambiato?
«Ci sono molte più regole, anche per girare quattro bacini devi sapere che l’attrice si può ritirare in ogni momento senza neanche scusarsi. Per l’uomo è diventato molto più complicato sperimentare».
E per la donna?
«La pornografia è sempre di più in mano alle donne. Da due anni la miglior regia va a una donna, e c’è uno stormo di registe nuove, bravissime. La donna ha più immaginazione e si fa meno problemi dell’uomo nel mischiare le carte in tavola, si eccita di più su cose che per l’uomo sono ancora tabù, ha una sessualità più strong. E se un film è un po’ forte e rischioso, magari con sesso estremo, fatto dalle donne diventa geniale. Cose che, dopo il #metoo, un uomo rischierebbe di finire in galera».
Paolo Di Stefano per il “Corriere della Sera”
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