A tutti noi motociclisti è capitato di partecipare ad un raduno, un rally, di qualche decina o centinaia di moto. Sembrava un serpentone infinito. Immaginate ora una processione di un milione e mezzo di moto.
Questo è il Memorial Day Rally organizzato da Rolling Thunder, un gruppo che annualmente, da 32 anni, organizza per il weekend del Memorial Day, questa corsa da tutti gli Stati Usa verso Washington DC, per onorare i caduti ed i veterani delle Forze Armate statunitensi.
L’evento principale, dopo visite ai Cimiteri di guerra e benedizione delle moto nei giorni precedenti, si sostanzia in una processione che anche quest’anno ha preso le mosse come di consueto dal Pentagono, continuando sul ponte del Cimitero di Arlington, ove riposa il milite ignoto Usa, e terminando al Memorial dei veterani del Vietnam.
Ha fatto sosta anche al Lincoln Memorial, ove hanno parlato, tra gli altri, il Segretario agli Affari dei Veterani Robert Wilkie, insieme al fondatore dei Rolling Thunder Artie Muller, al Senatore del District of Columbia Shadow Michael Brown ed al Generale in pensione dell’ U.S. Air Force Lt. Gen. Thomas McInerney.
Questo Run, descritto come una “dimostrazione commossa di patriottismo e rispetto per tutti coloro che difendono la Patria americana”, fu pensato ed organizzato per la prima volta nel 1988, dai fondatori Artie Muller e Ray Manzo come una corsa a Washington, D.C., per ricordare nel Memorial Day i POW e MIA della guerra del Vietnam, cioè i Prisoners Of War e i Missing In Action, i prigionieri di guerra ed i dispersi in azione. Vi parteciparono 2.500 moto.
Il nome fu mutuato dal fragore dei bombardieri del 1965 contro il Nord Vietnam ed Hanoi, nell’operazione Rolling Thunder, simile ad un tuono ed al suono degli scarichi delle moto che ne riproducevano il rombo.
L’ultima corsa?
Il futuro di questa encomiabile iniziativa è oscuro: il costo per l’ordine pubblico, circa $200.000, e la Resistenza delle Autorità di Washington, spaventate dal grande afflusso di motociclisti al Rally, che in verità non hanno causato il minimo problema, paventano che dal 2020 le celebrazioni saranno organizzate Stato per Stato e non concentrate a Washington.
La portavoce del Rolling Thunder Nancy Regg ha annunciato a USA TODAY che questa è stata l’ultima processione a Washington, non solo per l’aspetto economico, che in definitiva potrebbe essere coperto con le molte donazioni, quanto per il problema di sicurezza al Pentagono e il coordinamento con le Forze di Polizia della capitale statunitense, oltre ad ovvie ragioni logistiche di sistemazione alberghiera dei partecipanti il cui numero pare non voler diminuire, anzi, aumenta di anno in anno.
“Il nostro obiettivo è sensibilizzare sulla sorte dei POW-MIA, ed assicurarci che i veterani abbiano i servizi che necessitano e meritano, ma abbiamo organizzato questo per 32 anni, il nostro fondatore ha ormai 73 anni, è tempo di cambiare.”
Il Presidente Donald Trump pare avere, invece, altre idee in merito.
In un Twitter ha affermato di “non poter credere che il Rolling Thunder possa avere problemi con i permessi a Washington DC” ringraziando invece i motociclisti che ha chiamato Patrioti e promettendo il suo aiuto.
Il giorno del raduno ha twittato nuovamente annunciando che “i grandi Patrioti del Rolling Thunder torneranno a Washington DC l’anno prossimo e per molti altri anni a venire.”
Vedremo l’anno prossimo cosa avverrà veramente, sia dentro che fuori la Casa Bianca.