Sabina Began – Apro il portone, lei è di fronte. Non un filo di trucco. Ci salutiamo con naturalezza, come se ci fossimo viste ogni giorno per una vita, ma non è così: l’ultima volta è stata cinque anni fa in un ristorante chiacchierato di Via Giulia dove lei era spesso ospite gradita del proprietario.
Proprio in quel ristorante mi raccontò di aver abbracciato l’Islam, dopo tante peripezie, e mi parlò della necessità di amare il prossimo incondizionatamente e di non addossare agli altri la responsabilità dei propri errori.
È una sufista, dell’ordine del Gran Maestro mistico Naqshbandi. Il sufismo è il ramo spirituale dell’Islam. Prega prestissimo al mattino, dopo le abluzioni, prega cinque volte al giorno ma se può anche di più. In realtà prega in ogni momento possibile, anche prima di bere la sua centrifuga di cavolo dice: «Bismillah» («nel nome di Dio»).
Mi racconta che le sembra di aver vissuto un’ altra vita quando, imbottita di ormoni, tornò dalla clinica di Madrid dal “suo” Silvio a Roma, dopo aver perduto il loro bimbo. Volevano un figlio insieme, ma lei era ormai stanca e spossata dalle cure per la fecondazione assistita.
Partì per la Thailandia, a quel tempo era buddista e provetta contorsionista dello yoga. Andò a trovare la sua amica principessa thailandese e rimase lì fino a quando il capo guardie del palazzo le diede in dono un Corano per sua madre. I genitori di Sabina sono infatti entrambi musulmani.
Sabina comincia a pensare a quel libro. Torna da Silvio ma poi ecco la gran decisione: andrà a studiare il Corano a Sarajevo. Quel giorno Silvio l’accompagna all’ascensore e prima di chiudere la porta le dà uno schiaffo, poi le fa segno «Ok» con la mano. È l’ ultima volta che lo vede. «Non ho mai compreso il perché di quell’Ok», afferma ridendo.
«Silvio non ha mai ostacolato il mio amore crescente per Dio, mi ha sempre detto di saper bene quanto fossi spirituale, nel bene e nel male. Prima ero una furia, mi arrabbiavo tantissimo, lo minacciavo e gli gridavo le cose più atroci. Ad un tratto mi guardava, senza scomporsi, dicendomi che tutta quella passione gli piaceva tanto – ed io crollavo. Mi ha sempre saputa prendere, lui».
Era un’altra vita, un’ altra Sabina. Per depurarsi da quel periodo di eccessi, dalle invidie di innumerevoli concubine bramanti di un attimo al sole, da quel periodo di glorie, di dolori, di alti e bassi tipici di chi frequenta una corte del potere, Sabina ha affrontato quattro anni di preghiera ed isolamento.
«Se oggi sono così è solo perché ho saputo stare da sola tanto tempo, ci vuole forza per trovarsi con sé stessi in buona compagnia». Conosco Sabina da quando avevo 18 anni, ero fidanzata con il fratello del suo compagno di allora. Quando questo suo compagno, un bellissimo principe della nobiltà romana morì anni dopo che si erano lasciati, lei era l’ unica a piangere in silenzio nella stanza adiacente alla bara, nel giorno del funerale a Pratica di Mare. Unica, tra le ex fidanzate del principe, ad essersi presentata nel dolore.
Non vidi Anna, né Elenoire né altre che grazie al principe erano state a turno sulle copertine di molti settimanali. C’era una certa Angelica che rideva. Ricordo bene quella Sabina di “un’altra vita” che piangeva silente in un salone da sola. Prima di cenare mi chiede scusa e si alza, va a pregare e ritorna. In quel momento penso a questo racconto, la sua vera storia merita di essere raccontata. Quando andiamo via il proprietario ha lasciato disposizioni affinché il conto non le sia portato. Lei mi dice: «Sono due giorni che mi offre colazioni e pranzi, stasera non posso permettere che lo faccia di nuovo». Provo a offrire io ma me lo impedisce.
Sabina è cambiata, ma la gente intorno a lei fa sempre a gara per ospitarla. Domani mattina torna in treno da sua madre in Germania con tre valigie.
Benedetta Paravia per “la Stampa”