“L’8 settembre non fu la morte della Patria, perché allora la Patria si rigenerò nell’animo degli italiani che seppero essere, seppero sentirsi Nazione. Anche lo Stato, tragicamente assente nelle drammatiche decisive ore successive all’annuncio dell’armistizio, sopravvisse grazie soprattutto alla saggezza di alcuni statisti democratici che decisero di accompagnare la transizione istituzionale, rinviando a dopo la fine della guerra le scelte che potevano lacerare, in modo irreparabile, il fragile tessuto delle istituzioni”. Così disse Carlo Azeglio Ciampi in un suo celebre discorso.
Però nell’asserzione c’è una contraddizione. Lo stato era venuto a mancare nel momento più drammatico e solo nell’aprile del 1944, avvenne la famosa svolta di Salerno, che significò quella convivenza di cui Ciampi parla. Sette mesi in gran parte, anche se non in tutto, di vacatio dello Stato.
Il Re aveva lasciato l’esercito allo sbando e privo di ordini. Grossa parte delle forze armate erano fuori dal territorio nazionale. Comportamento difforme da quello di molte altre monarchie europee, che invece avevano deciso di restare anche durante l’invasione. Oppure si erano messe a capo della Resistenza, dovendo sì riparare in territorio inglese, ma non prima di aver fatto tutto il possibile per coordinare le operazioni delle Forze Armate.
Il Re si era isolato a Brindisi e la nascita della RSI
Non regge neanche l’ipotesi di un allontanamento per garantire la continuità del governo, vista la mancanza di direttive chiare. Quindi lo Stato italiano, il nove settembre era nei fatti dissolto. Il Re si era portato la corte e qualche generale a Brindisi, dove era isolato da un paese le cui forze armate, di polizia e l’intero apparato non poteva coordinare da lì.
A questo punto il vuoto politico che si creò venne urgentemente riempito dai tedeschi, che compresero la necessità di tenere lontana la guerra dalle loro frontiere.
Venne dunque creata, grazie al supporto germanico la Repubblica Sociale Italiana, la quale de facto amministrava i quattro quinti del paese. Dunque la stragrande maggioranza della popolazione. La RSI cercò inoltre di trarre legittimazione morale dalla fuga del re.
Gli stessi anglo-americani vedevano, e continuarono a vedere per tutto il resto del conflitto, l’Italia non come un paese alleato, ma come un nemico che si era formalmente arreso. E che non aveva tenuto in piedi quasi nulla di più della corte reale.
Quindi gli stessi alleati vedevano l’Italia ancora come in gran parte nemica. Non potevano neppure fidarsi di quella monarchia, responsabile della guerra quanto il fascismo.
Salò era la continuità
A questo punto Salò rappresentò in gran parte del territorio nazionale la continuazione dell’amministrazione dello Stato, passata per la quasi totalità nelle mani proprio della Repubblica Sociale Italiana. Lo stipendio di funzionari, maestri, militari, poliziotti,dei giudici, degli impiegati pubblici continuò ad essere pagato per tramite del nuovo governo repubblicano. Anche perché la Zecca di Stato, e dunque la lira, era nelle mani della repubblica di Mussolini in quel momento.
Paradossalmente la pochissima amministrazione che aveva il regno del Sud fu pagata con le Am-lire, una moneta creata dagli alleati. Quindi il re non disponeva più quasi per nulla delle Forze Armate, nonostante molti soldati fossero rimasti a lui fedeli, non era più a capo di alcuna macchina amministrativa, e non aveva neanche una moneta sovrana.
Va ovviamente valutato anche che il non aderire alla Repubblica Sociale significava, per qualsiasi impiegato statale del tempo, non poter fare più affidamento su quel minimo di sostentamento che dava lo stipendio mensile.
Una scelta che la grande maggioranza degli italiani non poteva permettersi in tempo di particolare crisi. Quindi è ovvio che non furono tutte adesioni dettate dalla convinzione. Cionondimeno la continuazione statuale era comunque nelle mani della nuova entità dopo l’armistizio.
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